Funnies


Qualche mese fa ho iniziato una collaborazione con il periodico in lingua italiana ‘Il Ponte’ distribuito in Danimarca.

Questo è l’articolo apparso sul numero di Marzo 2009.

Di fronte a connazionali decani di permanenza in Danimarca sono un pivello; abito qui da appena due anni. Eppure ho già le mie piccole nostalgie, quei minuscoli dettagli che, in un certo qual modo, ti mancano.

Esempio. La nebbia. Io abitavo in Val Padana, ex palude bonificata a forza dai Benedettini, dove la terra trasuda umidità. Un territorio piatto, un altipiano poderosamente svettante a 12 metri/slm nonostante sia a più di 100 km dal mare. La nebbia è un fenomeno ovvio, come il vento per i danesi: se non c’è, qualcosa non va.
Nelle malinconiche sere di tardo autunno ripensi alle nebbie nella piazza del paese in riva al grande fiume; i suoni sono attutiti, senti voci di persone che non puoi vedere ed i tuoi passi verso casa risuonano nel silenzio.

O gli afosi pomeriggi d’estate. Montale descriveva un’altra area, ma la poesia è la stessa. Dove il sole su quel muro è gagliardo, dove tutti i colori si stemperano in quel biancore mentre l’aria immobile dà l’impressione che tutto si sia fermato.

Ma si sa, la mente col passare del tempo seleziona solo i ricordi positivi. Siamo realisti: la nebbia triplica i tempi ogni volta che prendi l’auto, ammesso che non ci sia l’incidente. Che c’è sempre. Per non parlare della salute; migliaia di persone in un ambiente col 100% di umidità. Non è a caso che il Volume XXVI della “Enciclopedia Medica Ponderosa” titoli “Val Padana: dall’acciacco, al reuma, al camposanto”.

In estate ricordi silenzio. Aria immobile. Davvero non ricordi quel brusìo? No? Oh, la tua mente ha fatto un buon lavoro! Il brusìo è il IV Stormo Zanzare Tigri proveniente dalle Valli di Comacchio (FE) in assetto da combattimento. E quel tafano che ti ha appena punto è così grosso che i controllori di volo della Torre più vicina cercano di contattarlo “Cessna-237WY, sei troppo basso, riprendi quota!”.
E lo shock spezzò le belle memorie.

Dice Confucio: pianifichi il viaggio per tornare a riassaporare i ricordi? Porta l’Autan.

..vento che soffia in cima al grande pino..

Chi non si ricorda di questo canone, caposaldo corale che più o meno abbiamo cantato tutti nei gruppi giovanili. No? Vent fin, Vent du matin?

Va bè, fa niente.

Stamattina non era eccessivamente freddo, però c’era vento. E non molla. Non ancora.
Secondo i danesi “c’è vento”. Secondo me invece, dopo aver visto questo, penso che i Triestini con la storia della Bora si siano inventati tutto; hanno messo giù un paio di ventilatori dell’Ipercoop, quelli con la piantana, ed è finita lì.

Quando sei in casa le finestre ululano ad ogni raffica mentre se sei fuori, se ti si infila un refolo in qualche fessura, sei finito. Montezuma ti ha trovato e lanciato la sua Maledizione.

E già uscire di casa è un’avventura.
Puoi farlo, ma devi essere vestito come Mario Cipollini al Tour de France. Non appena c’è un vestito un po’ meno aderente vedi che si apre, fa vela, e ti ritrovano in Brasile. Sì, esatto, insieme con le foglie.

Sarà per questo che oggi pensavo che ci fosse un importante evento ciclistico in città.

Mah, uno dice. A loro piace così..
Ma no che non gli piace. Se potessero prenderebbero la Danimarca con baracca e burattini e la sposterebbero in mezzo al mediterraneo e un bel grazie e arrivederci Mare del Nord.

Mi definirei un “Meteopatico Strategico”. Mentre non me ne può fregare di meno se un giorno piove o c’è il sole, la mia sensazione riguardo alle stagioni incide sul mio umore in modo deciso.

Quando ero in italia mal sopportavo l’autunno; è una stagione che nonostante lo sforzo nello schierare colori e panorami suggestivi, in qualche modo ha sempre fallito nel suo piano segreto di piacermi. Mi ha sempre fatto tristezza il concetto di “morte della natura”; le foglie che cadono, che vanno a formare l’humus (parola carina per dire che imputridiscono in un marciume decompositorio umido e diselegante); quegli opportunisti degli uccelli che -se solo avessero un gomito- ti farebbero il gesto dell’ombrello nel migrare verso panorami con più palme; “la nebbia agli irti colli piovigginando sale”; e potrei continuare.
Per me è esattamente la sensazione opposta della primavera, stagione nella quale ogni giorno è grande festa e al mattino salti giù dal letto con l’agilità di un amante clandestino che sta per essere beccato in flagranza.

Ma bene o male l’autunno è preludio per l’inverno. E in inverno ci sono tante occasioni per sfangarsela: si va a sciare, c’è natale, un sacco di occasioni felici e, ultimo ma non meno importante, dal mio personalissimo punto di vista è una condizione da “mal comune, mezzo gaudio”. Ci siamo tutti su questa fredda barca. A parte quegli stronzetti degli uccelli.

Qui il problema non si pone, perché un giorno ti alzi e c’è il sole; poi, tempo di girarsi, e piove e tira vento in modo così insistentemente freddo che ti viene da associare spontaneamente le parole “Siberia” e “Club Med”. Ti vien voglia di precipitarti in aeroporto con l’allegra intenzione di mandare tutti affa e andare a svernare su una sdraio in Tundra.
Quello che non aiuta è che tra prima e dopo che ti sei girato non hai avuto tempo per metterti su maglioni e giubbotti. Per gente senza capillari come i danesi non c’è problema, se ne accorgono dopo un po’, ma per noi il problema c’è eccome. Aggiungi la seppur posata reticenza psicologica all’accettazione dell’evento (noooooooooooo! rivoglio l’estateeeee! voglio le mie magliette! i miei pantaloncini corti!). Risultato: Montezuma. Fisso.

Naturalmente non è che qui ci sono 3 mesi d’estate e 9 d’inverno: anche le mezze stagioni hanno la loro bella sfumatura. In primavera e autunno infatti fa solo freddo maiale mentre in inverno diventa freddo porco.

In ogni caso ci sono pro e contro nella situazione determinata da questa latitudine. Vediamoli.
Pro
– la natura non muore lentamente in un letto d’ospedale: PAM, un bell’infartino secco, le spoglie degli alberi (beh, le foglie) ci pensa il vento a portarsele a fare humus in Brasile, via il dente via il dolore;
– c’è meno tempo per il processo di ossidazione degli unici particolari in ferro della tua bicicletta; dal sole al ghiaccio in un istante: con l’arrivo del freddo la ruggine fa su il suo fagottino, bestemmia il dio delle Ossidazioni (mi veniva da scrivere “Ossiride” ma per fortuna mi sono trattenuto), e va a rifugiarsi al calduccio contro qualche bel termosifone;
– consumi molti meno abiti estivi;
Contro
– visto che sei l’unico meteopatico, “mal comune mezzo gaudio” non funziona;
– la piovosità danese media durante l’anno è poco meno del 50% (170gg/a). E si concentra in novembre. Grunt. Commenti?
– a disturbare la quiete ci sono ogni anno grosse cause governative intentate contro il Brasile con lo scopo di rimpatriare l’humus, mentre l’opinione pubblica si spacca tra “poveretti, lasciamoglielo” e “cara, che DVD guardiamo stasera”;
– sciare? what’s sciare? E soprattutto dove, visto che la “montagna” più alta è Møllehøj e si slancia alla bellezza di 170,86m/slm, e prima di misurare hanno pure aspettato che in cima passasse un grosso alce che andasse di corpo ispirato dall’altitudine, per guadagnare qualche centimetro prezioso.

Tra parentesi, c’è un’altra “montagna” di nome Yding Skovhøj che in realtà sarebbe più alta (172 metri e spiccioli) ma solo grazie ad un tumulo sepolcrale dell’età del bronzo che era stato collocato in cima da queste antiche popolazioni. Noi, nella nostra presunta onniscienza, crediamo che sti qua fossero dei buzzurri che si soffiavano il naso con due sassi, ed invece, oltre ad aver stabilito con ottima approssimazione (senza l’orologio digitale Casio con altimetro) che era uno dei punti più elevati, sono stati lungimiranti abbastanza per stabilire questo primato. Col chiaro intento che i loro pro-pro-pro nipoti del XX secolo potessero scannarsi a vicenda all’arma bianca su chi aveva il record di altitudine. Ma il record è stato cassato, considerando che un tumulo sepolcrale non è opera della natura. Senza il tumulo infatti misura 9 centimetri in meno di Møllehøj.

Poi ce n’è un’altra di nome Rytterknægten, che è in realtà il punto più alto in Danimarca: sarebbe 162 metri ma, con la scusa di onorare la visita di un Re (così nessuno poteva dire “ehi, l’avete fatto apposta”), ci hanno costruito sopra una torre di 12 metri, così per 4 metri dominano su tutta la nazione. E pensavano di poter dire: Møllehøj! Yding Skovhøj! CIKKEN CIKKEN! (la versione danese di cicca cicca).

Insolitamente, nessuno crede che quella torre sia opera della natura, ma loro continuavano a vantarsi indebitamente.

Allora dall’Istituto Geografico Danese hanno dovuto far partire una telefonata, di cui abbiamo una trascrizione. Sfortunatamente non è riportato il dialogo da parte del sindaco di Rytterknægten, in quanto dal suo ricevitore risultano solamente tintinnii di forchette sui piatti di strudel e brindisi con boccali di birra; in più si odono canti semi-indistinti, che i più esperti classificano apparentemente come varianti danesi dello “yodel”. In pratica la stessa cosa ma con in media un 37% in più di suoni gutturali.
Il Geologo danese:
– Pronto Signor Sindaco, salve. Ci spiace, dopo attenta considerazione abbiamo stabilito che nonostante gli artifizi la vostra montagna non è la più alta.
– No, guardi, è fuori discussione, non c’è geologo, scienziato o premio nobel che non vi dia torto marcio, e peloso tra l’altro.
– Sì, sì, d’accordo, la torre è fatta di legno, ed il legno è opera della natura, ma davvero non fa testo, ci dispiace.
– Sì, la ascolto.
– D’accordo, dimentichiamo la torre per un momento.
– Puntate ad insidiare record dolomitici. Bene, è ambizioso. Vorrei solo sapere come.
– Avete piantato una sequoia. Ottimo, ne riparliamo fra un paio di secoli allora. Tante cose e arrived..
– Prego!?
– Ah, a parte la sequoia avete un’arma segreta. E.. di cosa trattiamo?
– hmm..
– Sì, un giocatore di basket è indubbiamente un’opera della natura, una colossale opera della natura, lo ammetto, ma non capisco il nesso.
– Dunque, ricapitolando. Avete convocato i giocatori NBA dei “Los Angeles Lakers” e dei “Chicago Bulls” con la scusa di un torneo amichevole contro i “Rytterknægten Pistons”. Quindi? Continuo a non seguirla.
– Ah, adesso è più chiaro. I vostri animatori hanno organizzato la gara della piramide umana.
– Avete foto, filmati, telemetrie, triangolazioni da terra e dal satellite, tutto. Tuttavia purtroppo non credo che le altitudini raggiunte…
– Ah beh, compresi allenatori e riserve, allora questo cambia tutto.
– Capisco. Senta, vi faremo sapere. Ci mandi il materiale. Arrivederci.

CLIC

– (sigh)

In ogni caso, qualunque collina sia, tu scia da un dosso di neanche duecento metri e poi dimmi se non ti vengono du palle la terza volta che prendi lo skilift.
Quindi non ti resta altro da fare che tornare a casa e guardarti la differita dell’amichevole, con i “Rytterknægten Pistons” stabili a zero contro indistinte centinaia di punti da parte dei Lakers bendati, con mani e piedi legati, e subdolamente storditi dagli inni yodel della tifoseria locale.

..che facevano l’amore con la figlia del dottore.
Ma non c’è niente di porno, non è come la filastrocca. C’entra solo il dottore in questa storia.

Già di per sè la gestione del medico non è male.
Hai bisogno, chiami (o mandi una email) e prendi appuntamento dalla efficientissima signorina vichinga. Ti presenti, aspetti dai 5 ai 15 minuti, e il medico ti riceve, fine. Niente code nè salotto obbligato coi forzati che vanno a mettersi in coda con la speranza che oggi almeno il medico non debba uscire per una urgenza. O coi vecchietti da assecondare perché essendo in pensione non hanno niente da fare e vanno a mettersi in sala d’aspetto con la speranza di trovare acciacchi in comune con gli altri astanti ultra-ultra-N-enni e avere finalmente l’alibi per poter inveire in coro contro “il mianto” (amianto), o il catrame “dello sfalto” (asfalto), o le mezze stagioni, o i “conchiuter”, che indubbiamente rovinano tutti.

Dicevo. Mi mancano delle medicine che sono solito prendere.
La procedura normalmente è questa: io telefono o mando una mail, loro inseriscono la ricetta nel sistema (elettronico) che viene recapitata ad una farmacia di mia scelta (potrebbe anche non essere la solita), dove dopo 15-20 minuti posso passare a ritirare i farmaci.

Mi piace questa cosa, se non altro per il meccanismo in sè, per cui all’ambulatorio non vado mai.

Stavolta invece passavo lì davanti, e allora butto dentro la testa.
La vichinga si lamenta che è un po’ che non mi vede (solo da un punto di vista professionale, eh; bbona com’è, magari lo dicesse in un altro senso..) e sostiene che, visto che non c’è tanta gente, il medico vorrebbe vedermi. OK, le sparo un sorriso come se l’avesse detto nell’altro senso e dico: aspetto.
In 15 minuti sono dentro. Mi chiede come va la vita, mi scruta la faccia, mi guarda le orecchie, mi prova la pressione, mi osserva la lingua, mi mira all’occhio con uno strumento luminoso, procede con l’altro, fortunatamente si ferma prima di fare altre ispezioni più invasive, OK, tutto a posto.

Poi mi guarda con aria grave e fa: eh mi sa proprio che dobbiamo fare le analisi del sangue.

Prima che io possa dire OK non le ho mai fatte prima, dimmi in che centro analisi devo andare, in che giorno, a che ora, eccetera, mi ha già laccioemostatizzato, trafitto il braccio ed estratto due campioni.
Protesto, moderatamente, dicendo che ho già fatto colazione; risposta: il sistema si auto-tara sull’orario ed assume le alterazioni dovute a colazione, pranzo o cena. Non posso che tacere, e vedere il terzo campione che si riempie.
Mi tura la falla con un batuffolo di ovatta rigorosamente senza alcool (qui i batteri fetenti muoiono durante l’inverno, pare, e d’estate sono troppo occupati a fare picnic) e mi spedisce fuori senza cerimonie.

Due giorni dopo ricevo una email che dice clicca qui per vedere i risultati (*).
Clicco, i valori sono a posto, noto che i miei leucociti sono vicini al limite superiore ma niente di preoccupante visto che li ho sempre avuti alti, fatto. Stampo, giusto per essere sicuro di averli, visto che il link si autodistruggerà in 5.. 4.. 3.. 2..

Ah, dimenticavo. Il medico, che ovviamente riceve copia dei risultati, mi aveva detto che se per caso c’era qualcosa che voleva approfondire mi avrebbe scritto un’altra email con data e ora in cui andare in ambulatorio.

(*) Nota che comunque il sistema è sicuro e garantisce la tua privacy: nella mail che ricevi sul tuo indirizzo personale c’è un link da visitare che appunto scade dopo pochi giorni e dove per accedere devi immettere un dato che conosci solo tu. Semplice, razionale, efficace.

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OK io vivo qui e a me sembra normale ormai, ma voglio analizzare la cosa facendo una piccola comparazione a livello di burocrazia e di code.

Italia.

Vai dal medico (coda numero 1) per ottenere la ricetta per gli esami.

Levataccia per andare al centro prelievi, (coda numero 2), e di cattivo umore perché non hai neanche avuto la possibilità di bere un doveroso caffè. E sei circondato da gente nella stessa condizione, il che non rende l’esperienza positiva da un punto di vista sociologico. Sorrisi (?) nervosi, dietro ai quali c’è un malcelato sentimento di ostilità tutti-contro-tutti del tipo “ma sti coglioni stanno tutti male? perché cazzo sono venuti proprio stamattina” e cose così. Senza pensare che domani è uguale o forse è peggio.

E’ il tuo turno. La possibilità di trovare un macellaio che ti ravana nella vena durante il prelievo non è trascurabile, in più sono incazzati per la stessa levataccia, che loro poveretti fanno tutti i giorni. “Torni tra una settimana per ritirare i risultati”. Però almeno hai il batuffolo con l’alcool.

Dopo una settimana: coda numero 3, senza contare “dove” devi andare. Specifico meglio: devi andare tu, a prenderteli, e perdere tempo per questo.

Torna dal medico, dovrai pure farteli leggere, i risultati: coda numero 4.

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Ora, è così difficile?

La coda numero 1 non si può eliminare; non è che possono prendere il sangue dal cane del medico.

Ma le altre? Tre code spazzate via. E personale che può essere utilizzato per fare qualcosa di più produttivo, edificante, e meno noioso per loro, che distribuire risultati di esami.

Ah già, il vecchietto che non ha la posta elettronica. E’ il classico granello che inceppa il meccanismo. Che si fa? Ho un’idea! Glielo mandiamo a casa per posta!

Proprio perché è un vecchietto, non vorrai mica metterlo su un treno o un autobus, poi in coda, poi su un treno di nuovo verso casa, per prendere un banale pezzo di carta che un giovane e baldo postino può consegnarti comodamente nella cassetta postale. O no? Costerà di più qualche francobollo o un impiegato a tempo indeterminato allo sportello? (sì lo so che possono essere *migliaia* di francobolli; su questo aspetto commenti, e sono pronto a rispondere :))

E per le comunicazioni del medico nel caso in cui lui ti voglia vedere c’è sempre la vichinga, e il suo telefono.

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Medaglie e Rovesci.

Uno dice beh è il paradiso. Eh no.
La razionalità e la funzionalità stanno alla base di tutto. Questo comporta un costo non trascurabile.
Facciamo finta che stai male, ma non sei in pericolo di vita o non hai i sintomi di chi lo è. Magari ti succede di notte. Un mal di denti da urlo alla “fantozzi al campeggio”, un mal di testa deciso, un mal di pancia da “notte sul vaso”, un’unghia incarnita, un dolore mestruale, mal di quà mal di là, ma niente da far pensare neanche lontanamente che stai morendo. Oppure, peggio.. un certo dolore che ricordi un cugino di un fratello di un amico che lo aveva ed è morto (il giorno dopo, arrotato da una macchina).

Beh? Te-lo-tie-ni.
Puoi rovistare nell’armadietto alla ricerca di qualche residuo non scaduto di pain-killer, di palliativo, leggasi “aspirina”, ma medici di guardia e ambulanze te li scordi. Non provarci neanche ad andare al pronto soccorso: se non rantoli ti spediscono a casa senza neanche guardarti.

Facciamo invece l’esempio che sei in pericolo di vita, o che lo sei potenzialmente, ovvero hai tutti i presupposti per. O semplicemente che in qualche modo è grave e va preso in tempo.
Ambulanza, ospedale, medici a tua disposizione.
Come funziona? Facile. Perché non devono prendersi cura di tutti quelli che hanno l’unghia incarnita o un certo dolore che un cugino di un fratello bla bla.

Il rapporto che gli utenti hanno con il medico, in questi paesi, è quanto di più distante dal rapporto mamma (medico)/figlio piccolo (paziente): in questo modo si fa alla svelta a limitare l’ipocondria. Esempio:
Paziente: AIUTO!
Medico: Stai male?
P: Sì.
M: Sei in pericolo di vita?
P: Sono convinto di sì.
M: Vediamo. cosa senti?
P: Questo e questo e persino questo! Oddio dottore mi aiuti, sto morendo!
M: Capisco. Tuttavia da quel che vedo io no, non stai morendo. Anzi! Arrivederci.
P: …

E’ educativo. Alla fine ti stufi anche tu dei tuoi propri millantati acciacchi e pensi a goderti la vita, altroché :)

Di certo c’è una cosa. Non è un sistema per noi italiani, abituati ad avere il dottore-chioccia che ci prende sotto l’ala e che ci dà l’impressione che qualcuno si prenda cura di noi, scaricandoci dalla responsabilità dei nostri propri malanni; quello stesso qualcuno da incolpare ferocemente poi dopo, quando qualcosa va storto perché tanto avevamo la coscienza a posto ed abbiamo continuato a fare il porco comodo che ci pareva.
Molto spesso è questa la cura stessa: potrebbero darti amorevolmente gocce d’acqua fresca invece della Novalgina, il cosiddetto placebo, e tu italiano già ti senti meglio.

Nessuna meraviglia che il nostro popolo non sia, in genere, soddisfatto del servizio sanitario danese.

Questa è bella.
Sono stupito, ed il fatto è che non so se è -piacevolmente- stupito oppure se “piacevolmente” non c’azzecca proprio.

Dunque, la stagione estiva è arrivata e così i turisti.
Ed io sono già impegnatissimo a gestire gli ospiti “speciali”, come l’anno scorso, in attesa che inizino i tour nei quali farò da guida turistica.

L’agenzia per cui lavoro quest’anno è molto più grande e potente di quella dell’anno scorso, ed ai clienti danno molti più servizi rispetto all’altra.
Uno di questi è lo Steward per conferenze.

Ma veniamo agli accadimenti.

Prima comunicazione. Tre giorni fa, mi contatta la mia coordinatrice.

– C: c’è un servizio Steward full time per quattro giorni, lo vuoi prendere? Dai Dai Dai Dai Dai NonPuoiDireDiNo..

Io metto su un piatto della bilancia un servizio da due ore sabato e un tour che forse.. chissà.. lo danno al 10%.. da una parte.
E questo qua, con i suoi 4 giorni di superlavoro, sull’altro piatto, con la montagna di soldi (tutti guadagnati) correlata. Non c’è voluto più di un microsecondo per dire sì.

– Io: (dopo un microsecondo) Sì.
– C: GRANDE! Mi occupo io delle sostituzioni sui tuoi turni!
– Io: Però, se per caso succede che magari hai bisogno, se ci sono numerosi altri servizi tra sabato e domenica, non voglio lasciarti a piedi.
– C: non preoccuparti farò i salti mortali e troverò un italiano, va bene così, grazie grazie grazie clic
E non sospetto nulla.
Vengo tuttavia a sapere che si tratta della Conferenza Annuale Internazionale della Bayer per Infermiere. E’ già qualcosa.

Vengo anche a sapere che arrivano altri servizi per ospiti italiani tra sabato e domenica.

Seconda comunicazione.

– Io: Sei sicura, guarda che per fare lo Steward basta chiunque che sappia parlare inglese, noi italiani invece siamo pochi e..
– C: Smettila, sono sicura, ho già trovato qualcuno. clic

Puzza un po’, a questo punto. Lei è un tantino più cerimoniosa, di solito.

Terza comunicazione (con un’altra coordinatrice).

– Io: ciao senti a proposito di quel servizio ho un paio di dubbi, sei sicura che ci siano abbastanza assistenti italian..
– a/C: non preoccuparti è tutto a posto siamo coperti ciao. clic

Quarta comunicazione (con la mia C.)

– Io: senti non è che non voglia farlo, è solo per facilitarti le cose e..
– C: ottimo grazie apprezzo lo fai tu ciao. clic

Il dubbio cresce.
Perché, con tanti colleghi che ho che parlano inglese, vogliono così ostinatamente me che sono uno dei pochi che parlano anche italiano? Mi destreggio bene con le pratiche di imbarco/sbarco/gestione e organizzazione gruppi, ma non è che gli altri siano deficienti, sono capaci anche loro e anzi, più di uno è anche meglio di me.
hmm.. devo scoprire la verità..

Passo per l’ufficio con la scusa di prendere una cravatta marchiata di scorta (è obbligatoria in queste occasioni e sono sicuro che se ne hai una sola viene macchiata di caffè nei primi 5 minuti) e ne approfitto per appartarmi con un’altra coordinatrice (la terza) la quale dopo qualche maldestra e comunque inefficace resistenza, confessa.
E risulta che l’organizzazione della Conferenza Annuale Internazionale della Bayer per Infermiere, visto che i partecipanti sono rappresentanti del sesso femminile al 95%, ha richiesto es-pres-sa-men-te udite udite uno Steward maschio e di ottima presenza. Tra parentesi: hai capito, le infermiere porcelline?

Loro, le coordinatrici, si sono consultate ed hanno deciso unanimemente che dovevo essere io. Però, mi dice, per carità non dirlo agli altri che sennò poi fanno i gelosi.

Allora.
Nella mia vita me ne sono successe tante, ma quella di essere scelto non per quello che ho nella mia testa bensì per il mio corpo, giammai!

E mi è passata tutta la vita davanti.
Da quando adolescente sfigato e timido con occhiali e apparecchio per i denti non osavo neanche pensare di avvicinare le signorine, a quando un po’ più cresciuto ero più carino, sì, ma comunque nessuno mi ha mai proposto la copertina di Maxim. Anche adesso non sono proprio un brutto arnese, da quando vivo qui sono anche tornato al mio peso forma, ma dico.. gli altri devono proprio essere messi male se una congrega di coordinatrici elegge _me_ come la cosa più sexy dell’ufficio. E non parliamo di signore in età: io ho sempre fatto colpo più sulle mamme che sulle figlie, questo è vero, ma qui stiamo parlando di tre trentenni, per di più gnocche da combattimento tutte e tre, che sull’indicatore di sexytudine andrebbero a fondo scala. E non continuo che non si sa mai che ci siano dei bambini.
OK che loro sono fuori gioco essendo femmine, ma è solo per dire che non mi hanno scelto delle signore che apprezzavano il mio sorriso.

Comunque. Ho realizzato di essere diventato un oggetto.

L’Uomo-Oggetto.

Il Macho Scandinavo.

Il Danimarca Dream Man.

..Lo Scarrafone del Desiderio!

C’è tra voi qualche altro corpo mercificato che mi possa dare qualche suggerimento per superare il blocco psicologico?

PS E c’ho poco da protestare e dichiarare “l’utero è mio e me lo gestisco io”.. non ce l’ho, almeno che io sappia.

Qualche giorno fa siamo stati al compleanno del Tabbo (il babbo di Tabby).

E chi l’ha detto che i compleanni per bambini devono essere festeggiati di pomeriggio e quelli per adulti di sera? Infatti ci siamo incontrati a colazione. Non credo che il titolo lasciasse dubbi in proposito. E non “colazione” come certi nobili o parvenu chiamano il pranzo: proprio colazione colazione, “breakfast” se preferisci.

Alle 10 in punto, tutti a tavola.

Sappiamo tutti che gli inglesi la mattina mangiano il bacon, e vomitiamo se ci pensiamo a colazione, mentre affondiamo i denti in un bel bombolone farcito di crema, con una quantità di zucchero totale bastante per una decina di giorni. E domani ovviamente ne mangeremo un altro, tanto per metterci avanti.

Beh gli inglesi sono dei dilettanti.

Tra frittatine e uova strapazzate, salami prosciutti salsicce wurstel, salmone ed altre delizie, il bacon alla danese (ovvero pancetta affumicata fritta nel suo stesso grasso) tutto sommato faceva la parte del cibo dietetico. Ma non è finita, anzi, non è nemmeno iniziata. Non è che il cibo si mangia così. Sulla tavola figuravano piatti sontuosi con fette di pane tiepido sulle quali spalmare un dito di burro salato, al quale attingevi da uno dei tre mattoni sparsi sulla tavola (giusto perché fosse comodo raggiungerli). Il pane e burro era la base sulla quale appoggiare il resto. La quantità di Colesterolo implicata in tutta l’operazione ha fatto sì che venisse riservato un posto a tavola anche per lui, caso mai vista la massa prendesse coscienza di sè e volesse partecipare al festeggiamento.

Brocche da litro emmezzo di caffè si alternavano instancabilmente dalla cucina alla tavola, dove la macchina per il caffè danese gridava vendetta, mostrava il certificato che era stata costruita per produrre non più di 10 litri di caffè al giorno, e prometteva di marcare visita alla prima occasione.

E’ tradizione, a colazione, bersi anche un bicchierino di Gammel Dansk, che è una specie di amaro Petrus da non sorseggiare ma da buttare giù così, col motto “quello che resta, va sulla testa”. Quindi è meglio che nel bicchierino non ne resti. Non so che reazione chimica facciano burro, pancetta e Gammel Dansk, ma sicuramente appena passata la fase esplosiva della reazione ti senti pronto a ricominciare.

Per rispetto verso lo straniero (io) mi hanno esibito anche un piatto con delle brioches, o croissant, come vuoi chiamarli. Che non sono esattamente come i nostri. Sono un po’ salati pure questi, caso mai uno volesse tagliarli a metà, spalmarci del burro e aggiungere una fetta di salame o tre.

Mi stavo rimpinzando col resto e proprio delle brioches non me ne poteva fregare di meno, tuttavia non ho rifiutato sdegnosamente; semplicemente con la bocca piena e malcelando frammenti di pancetta nelle fauci ho detto di lasciarle lì che le avrei esaminate più tardi. Fanculo le brioches, pane e burro e tutto il resto erano troppo appetitosi per occupare spazio prezioso con un croissant.

Alle 11 circa pare che la frenesia del cibo sia finita. Pance rotonde denunziano la ormai limitata capacità ricettiva di qualunque cibo in qualunque forma. Neanche il Gammel Dansk poteva molto, a quel punto.

Tuttavia, il cibo accatastato lascia spazi liberi per qualcosa d’altro che riesca ad intrufolarsi negli interstizi. Tipicamente, un liquido.

Credo di aver scritto, in precedenza, che i genitori di Tabby abitano a Fakse (Faxe) che non è un omonimo del posto dove fanno la birra Faxe, no no, è _precisamente_ il posto dove fanno la birra Faxe. E dove, per il consumo nei luoghi limitrofi, ti sparano una bella birra senza conservanti che non ha niente a che vedere con quella che compri al supermercato, quella con scadenza 2012.

Ed ecco che alle 11.15 arriva la prima partita di birra ghiacciata sulla tavola. E non cala. Non perché la gente non la beva, ma perché la scorta viene costantemente rinfrescata.

Segue passeggiata di rito in giardino dove movimento, bollicine della birra e Gammel Dansk più fermentazioni varie hanno la possibilità di esprimersi al meglio, e tu hai la possibilità di essere all’aperto, che in certe circostanze è una gran cosa :)

Ore 13.30. Casomai ci fosse qualche budellino vuoto, arriva il pranzo. Oggettivamente avrei avuto spazio in tasca, nel marsupio, nello zainetto, ma non dentro di me. Ma il cibo era eccezionale e poi non puoi rifiutarti. Altra birra in arrivo. Scatta l’invidia nei confronti dei criceti.

Si sopravvive così fino a metà pomeriggio, quando decidiamo di congedarci.

Prima di andare mi lamento col babbo di Tabby per il fatto di non averci invitato a restare a cena. Proferisce inequivocabili parole di sfida. Non raccolgo e ci defiliamo prima che concretizzi le minacce infilando nel forno un arrosto di porco in crosta con patata letale.

Per la cronaca, il cibo nei due giorni successivi è stato opzionale.

Noi italiani qui abbiamo la vita facile sotto questo punto di vista.

Sarà la sindrome da “famolo strano”, sarà il fascino dell’esotico, sarà che le femmine danesi sono stanche dei maschi danesi e viceversa, in ogni caso noi mediterraneoni rubizzi, che comunque essendo italiani (e quindi nella UE) diamo l’impressione di essere appena più civilizzati rispetto al resto del bacino, riscuotiamo un discreto successo.

Tuttavia.

Per dare una mano alla buona sorte, è necessario avere il Kit. Il Kit non è una cosa che si compra, almeno non tutto. Ma per le cose che non puoi comprare, non è che se non ci nasci non puoi averlo: basta applicarsi.

Il Kit comprende:

1. Come già detto, saper cucinare italiano. Se non sai cucinare italiano, o se non sai neanche la differenza tra i due lati di una padella, corri ad iscriverti a un corso. Nel frattempo ti posso anticipare che il cibo va messo nella parte concava, perché se lo metti dall’altra tende dispettosamente a scivolare fuori.

2. Lo sguardo trombino. Anche questa è una cosa che si impara. Anche il più indolente occhio da pesce lesso lo può apprendere, è solo questione di disciplina e allenamento.

3. L’atteggiamento lievemente smarrito. La signorina danese non è, in genere, un pesciolino che tu metti l’amo e quella abbocca. Queste sono donne strutturalmente cazzute, autonome, che non hanno bisogno della protezione e sicurezza garantita dalla Agenzia Italian Stallion Inc. ove il maschio con voce stentorea proferisce “vieni, piccola, proprio qui, sotto la mia ala”. No No. Sbagliato. Sono abbastanza autonome da proteggerti loro invece, tu povero extra-unione-di-Kalmar bisognoso di ambientamento e conforto. Da qui la necessità di apparire lievemente, leggermente, moderatamente smarrito. E ci tengo a sottolineare gli ultimi aggettivi: lievemente, moderatamente, eccetera. Se ti metti a cantare “Mamma son tanto felice perché ritorni da me” o “Paese mio che stai sulla collina..” con lacrimone all’occhio, l’effetto viene vanificato perché vieni classificato come “boccia persa”.

4. L’aspetto pianificatamente e subdolamente trasandato. Barba di due giorni. Per precisare, trovare un maschio danese barbuto è difficile. Non perché si radano come pazzi tre volte al giorno, bensì perché la barba non c’è proprio, oppure è rappresentata da tre peli biondi facilmente estirpabili con pinzetta. I danesi con la barba vengono tutti assunti al Museo di Scienze Naturali, qualunque sia la loro preparazione professionale. Ogni tanto ne scompare qualcuno, e lo vieni a sapere solo perché mettono un nuovo annuncio di assunzione. Il dipendente mancante viene talvolta riconosciuto dai discendenti, decadi dopo, in una teca di qualche museo nell’altro emisfero sotto la voce di “danese con barba” e “non toccare per favore perché l’abbiamo pagato parecchio”. Per tornare a noi, la barba volutamente trascurata ha un bell’effetto. Ah per precisare: le altre cose sullo stile che “l’omo ha da puzzà” non vanno bene invece. Belli profumatini, belli vestitini (ma senza cravatta), tutti carini e sistematini. E barba di due giorni.

5. Romanticismo. Eh se i danesi maschi in generale sapessero essere galanti e romantici come lo siamo noi probabilmente i vichinghi avrebbero cambiato il corso della storia ben più di quanto non abbiano fatto in realtà. Certe volte mi ricordano il film “Balle Spaziali”, la terza versione del matrimonio: “Lo vuoi?” “Sì”. “La vuoi?” “Sì”. “Bene, sposati, bacio!”. Poco spazio per il romanticismo, il corteggiamento, mostrare le piume della coda: “sò un vichingo, te piaggio?” “Se!” “Annamo a letto allora và”. Noi ci lavoriamo di più, e a loro piace.

6. Programmi a breve. Romantici sì, ma parlare già della casa rosa di fronte al mare al tramonto con tante stanze per tanti bambini fa l’effetto bagno in mare in maggio su zona inguine di rappresentante maschile della specie umana. Leggasi: ritirata. Programmi a breve termine, volontà di costruire qualcosa va bene, dà più serietà che non il “si tromba stasera poi ciao”. Ma eccedere no.

7. Infine, la cosa più importante (dopo il punto 1), e questa è una delle cose che si possono comprare. Allora, non importa quale supporto usi per portarti in giro la musica: il car stereo con sud-woofer o il mega-radiolone da spalla o l’ipod o i surrogati di ipod marca Pakistan Electronics. DEVI avere con te Eros Ramazzotti e sciorinarlo appena possibile. La passione che lega la donna danese ad Eros Ramazzotti è qualcosa di insondabile. Io non sono il più sfegatato dei suoi fan; mi piace, ma la mia cultura musicale mi porta a considerarlo più un easy-listening che un reale, genuino, e rinnovato piacere ad ogni ascolto. Ebbene, qui se senti per radio una canzone straniera (non in inglese) 90% è di Eros Ramazzotti. Perfino gli uomini quando sentono alla radio una sua canzone corrono da me e mi dicono “ti prego dimmi cosa dice il testo”; e siccome per le ragioni succitate non conosco a memoria i testi, mi trovo in difficoltà.

In ogni caso: non capiscono cosa dice il testo; non sanno pronunciare il suo nome; non conoscono gli altri tesori della musica italiana; si tratta di canzoni piacevoli, ma come ce ne sono tante altre nel panorama musicale mondiale; eppure.. eppure si sciolgono come iceberg teletrasportati per sbaglio nel mar delle Antille.

Facciamo una cosa: in cambio dell’informazione che il punto 7 funziona, qualcuno mi spiega perché? Io non posso più fare ricerche poiché mi hanno finalmente consegnato la laurea ad honorem in sociologia, a patto che non svolgessi più nessuna indagine.

PS per Eros, nel caso passi qui sul blog. Eros, come minimo mi devi una cena. C’è una collega di Tabby che ti adora alla follia (e, come detto, non è l’unica) e mi ha chiesto di tradurle alcuni testi. Tuttavia era riluttante, perché aveva timore di scoprire l’orrida verità.

Infatti nella tua “Se bastasse una canzone” c’è quella parola, “canzone” che assomiglia dannatamente a “calzone”, che i danesi -grazie anche a Merdos Pizza (vedi articolo in archivio, gennaio 2007)- sanno benissimo cos’è.

Ebbene, mi ha confessato che ci ha messo tanto tempo prima di chiedermi la traduzione. Perché? Perché aveva una paura tremenda di scoprire che la tua canzone parlava di pizza, facendo così crollare il castello di esotico romanticismo che le tue parole in gran parte sconosciute trasmettevano. Se lo avesse traumaticamente appreso, avrebbe gettato i CD e smesso di ascoltarti. Ed invece ti ho salvato le chiappe, e lei e le sue amiche continueranno tranquille ed imperterrite a comprare i tuoi CD. No perché qui i CD si comprano, non si fanno copie pirata ;)

Che dici, non me la merito una cena? Chiamami, ti farò sapere il posto :)

Sono stato in Italia per le vacanze pasquali, e per assaggiare un po’ di primavera che qui, nella propaggine meridionale del Polo Nord, arriverà. Con estrema calma.

E mi sono imbattuto come al solito nel comportamento stradale dell’italiano medio.

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Devo fare una premessa. Qui in Danimarca, quando circoli su strade ed autostrade, sei relativamente tranquillo: i sottosviluppati che eccedono i limiti di velocità o che infrangono clamorosamente le regole (creando peraltro situazioni di pericolo) ci sono anche qui, ma sono decisamente pochi; e sono pure fortunati, visto che la Pula si fa vedere poco in giro. Generalmente la passano liscia, ma una cosa è certa: non hanno l’approvazione o addirittura l’ammirazione da parte degli altri automobilisti. Ah certo che se li cagnano gli danno indietro la patente in un vasetto, così possono spargere le ceneri dove preferiscono.

Questo significa, per fare un esempio, che su un’autostrada con basso numero di corsie, se ti trovi nella condizione di essere in quella di destra e di avere un camion che viaggia più lentamente, se ti butti fuori in sorpasso nessuno di coloro che sopraggiungono si lamenta. Primo perché nessuno arriva a 190 all’ora, secondo perché nessuno pretende di avere il diritto assoluto sulla corsia sulla quale sta viaggiando. Anzi. Talvolta, vedendo la situazione, chi sopraggiunge rallenta spontaneamente per facilitarti l’uscita. E così fai anche tu quando sei nella loro condizione; perché la regola è: facilitare lo scorrimento del traffico.

Fantascienza? No, Danimarca. Vieni qui e guidaci per qualche migliaio di chilometri, poi mi sai dire.

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Italia. Esterno Giorno.

A22 Autostrada del Brennero, che mi sta riportando a casa.

Fila ordinata di camion sulla destra. Controllo che non arrivi nessuno, poi esco in sorpasso, accodandomi ai diversi altri (la fila di camion era consistente) lasciando tuttavia davanti a me la distanza di sicurezza che la prudenza mi suggerisce. Velocità media: 130 kmh.

Ed ecco che arriva da dietro il nostro protagonista, il Coglione con Patente di guida. Quello che dà il meglio per tenere alto il nome degli italiani nel campo del sottosviluppo.

Il quale Coglione, ovviamente, non apprezza la mia distanza di sicurezza, li vuole guadagnare quei micragnosi 67 metri, e si mette a venti centimetri dalla mia targa, cercando di farmi capire -tramite segnali morse con gli abbaglianti- che ha fretta, una dannata fretta, e che vuole sorpassarmi.

No way. In italiano: “non se ne parla proprio”. Per lasciarti passare dovrei rallentare, infilarmi in un buco, frenare, e sperare che vada bene. Ma neanche se tu fossi il Presidente della Repubblica in missione speciale. Ecco, magari se fossi un’ambulanza. Ma hai l’aria più da uno che dell’ambulanza potresti aver bisogno, che di uno che la guida.

La coda in corsia di sorpasso avanza lentamente, per lungo tempo, e il Coglione pare voglia mettere a prova il filamento in tungsteno delle lampadine dei suoi abbaglianti. Non è una questione di principio, lo lascerei passare volentieri, ma non ci sono le condizioni, per cui sto dove sono.

Finalmente la coda finisce e rientro in corsia normale. Il Coglione, per niente sollevato dal fatto che il suo strazio è finito e che finalmente può correre verso la Libertà dalle umane autostradali catene, strombazza pure, per farmi capire qualcosa che solo lui sa, ma che posso intuire: cioè che lui ha la macchina più grossa e quindi anche l’uccello è più grosso e che pertanto per rispetto per il suo grosso uccello dovevo gettarmi nel fosso. In pratica.

Fatto sta che il Coglione no è soddisfatto. Il Coglione DEVE farmi provare le infinite pene che io ho fatto provare a lui. E quindi si piazza davanti a me, rallentando, e cambiando corsia quando la cambiavo io, impedendomi di sorpassare o altro. Il Coglione tuttavia non sa che il motivo per cui io andavo a 130 kmh era solo per rispetto per chi veniva da dietro, e che la mia velocità di crociera stabilita alla partenza era ben più bassa. E’ chiaro che lo sta facendo apposta, non c’è nessun tipo di beneficio del dubbio in discussione. Per cui a quel punto esce la parte bastarda di me. Affinché il suo trucco funzioni mi deve stare davanti a poca distanza poiché, nella sua piccola immaginazione, se mi perde ho tempo per prendere la rincorsa e superarlo quando non mi può fermare. Ed io lentamente ma inesorabilmente rallento, costringendo anche lui a rallentare, a perdere un abisso di tempo, e a confermarmi in questo modo che non aveva nessuna fretta, bensì aveva bisogno di affermare il suo diritto ad avere la strada tutta per sè, una cosa che potenzialmente potrebbero reclamare altri 59.999.999 italiani.

Tra parentesi, se vuoi una strada tutta per te, puoi sempre andare in America su una di quelle strade in mezzo al deserto del Mohave, dove puoi correre finché vuoi senza che nessuno si azzardi ad attentare al tuo diritto di avere la strada per te. Almeno fino a quando spunta una pattuglia da dietro un cartellone pubblicitario, ed allora l’unico posto dove puoi svuotare il tuo vasetto con le ceneri è fuori dalla tua angusta cella, a Guantanamo.

Rallenta rallenta rallenta, mentre io e Tabby lo canzoniamo dicendogli di farsi una vita vera, quando siamo sotto i 100kmh il Coglione finalmente si stufa e va per la sua strada. Non farmi fare i calcoli di quanto tempo gli ho fatto perdere: sicuramente di più di quello che avrebbe guadagnato consumando i 67 metri e andando a titillare il paraurti di quello che stava davanti a me nella coda.

Seguono accadimenti stradali ordinari. Dopo il passo del Brennero niente più episodi, e questa coincidenza mi colpisce sempre molto.

Sono cose tristi, ma per il genere umano rimane la consolazione che, a rodersi il fegato sia prima che dopo, magari al Coglione è partito un embolo che sperabilmente ha lentamente raggiunto e leso qualche organo vitale, rafforzando così la teoria di Darwin sull’evoluzione della Specie.

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Con post come questo so che posso essere classificato come razzista.

Ma il fatto è che gli idioti e i sottosviluppati esistono, e meritano incondizionatamente tutto il rispetto che si deve a qualunque essere umano. Ma quei sottosviluppati che si credono di essere meglio degli altri, e per di più in funzione di questo pretendono di vanificarne i diritti, per me fanno parte della porzione da sacrificare nell’ottica di migliorare la media.

Una grande soddisfazione sarebbe che gentaglia come il Coglione, o come la Troia, leggessero il blog e si riconoscessero. Ma è chiedere troppo. Gente così non ha lo spessore; e poi credi cambierebbero? Credi direbbero “oh dannazione ha ragione, che stronzo/a sono stato, aspetta che cerco di migliorare”. Vano. Per fare autocritica serve un QI minimo.

Comunque sono a Casa, e per sei mesi di stronzi Coglioni alla guida non ne vedo.

Dalle rispettose Autostrade Danesi, lo Scarrafone passa e chiude :)

..ma prima che qualcuno si lamenti, vorrei specificare che generalizzare sarebbe ingiusto: si tratta dei cinesi che prestano servizio nelle aziende fornitrici di quella per cui lavoro.

Infatti, ci arrivano diversi container da parte di fornitori cinesi.

Uno dei più grossi problemi è che i contenuti dei container sono parecchio incasinati; nel senso che gli scatoloni contenenti articoli diversi sono mischiati tra loro; talvolta, se fragili, capita anche che siano rotti, eccetera. Ed è una cosa che va gestita in qualche modo, portando via tempo e risorse.

Spesso ci interroghiamo sul metodo utilizzato per riempire un container, visto che certi rimescolamenti di articoli sembrano fatti perversamente apposta, con lo scopo di rendere la vita più difficile ai ragazzi del magazzino che devono poi pazientemente rimettere in ordine.

A parziale spiegazione e risposta, illustro alcune note che ho ritrovato curiosando nei container sopradescritti.

Questo appare come un memorandum di procedure:

OdGc

Che, punto per punto, probabilmente significa:

OdG1
“Portando gli scatoloni non è ammesso camminare, ma solo correre come cretini con le braccia alzate, per mostrare efficienza”

OdG2
“Gli scatoloni vanno ammassati nel modo più incasinato possibile; è rigorosamente vietato rispettare le diciture “ALTO/FRAGILE” impresse sui cartoni”

OdG3
“Se non ti piace, nessuno ti obbliga a stare qui. Puoi scappare, ma sappi che fuori c’è il deserto coi cactus, vogliamo vedere quanto arrivi lontano. L’ultimo lo abbiamo pescato a neanche un chilometro.”

OdG4
“Adesso che sei rassegnato: china la testa e torna a lavorare a passi lunghi e ben distesi”

OdG5
“Ah, dimenticavo: stasera non si va a casa; per risparmiare tempo si dorme in piedi tra le scaffalature, così domani puoi lavorare un paio d’ore in più. E’ permesso appoggiare il cappello sul ripiano più alto”

OdG6
“Tutte le volte che incontri uno scatolone che nel codice ha il numero cinque (il 5 non lo sanno scrivere correttamente) devi prenderlo a calci o comunque danneggiarlo pesantemente, ma facendo in modo che non si capisca che siamo stati noi”

OdG7
“Se non seguirai tutte le regole qui elencate, ti schiacceremo sotto 3 pallet di graziosi ma poderosi portaceneri di granito”

Un’altra nota ritrovata, scritta a mano stavolta, è questa:
AC

E presumibilmente dice:
ac1
“Dunque io sono il capo (si notino le corna)”

“E sono molto preciso”

“Se c’è qualcuno che fa del casino qui” (è una casetta di ridotte dimensioni, degna di nota è la contrapposizione tra la seconda, ovvero l’ordine, e la terza, ovvero il casino indubitabile)

“Quelli siete voi (e presumibilmente qui il capo mostra il dito medio per enfatizzare)”

ac2
“Sette per dieci”

“FA 63?”

“MA DAI! PORCO..” (segue una bestemmia, probabilmente a Budda ma non è ben chiaro; l’unica cosa chiara è che trattasi di una bestemmia orribile)

ac3
“No,”

ac3
“perché,”

ac3
“..se vi distraete ancora vi strappo un braccio, una gamba e qualcos’altro”

ac3
“..per un totale di 3 tipi di arti diversi” e specifica “uno sopra, uno sotto, e uno in mezzo”

ac3
ed infine un’altro bel bestemmione rabbioso, sempre a Budda, pare. E ti credo, vorrei vedere te avere a che fare con della gente che fa sette per dieci = 63..

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C’è un particolare. Talvolta succede che di un tipo di articolo ci siano tutti gli scatoloni nel profondo del container, poi duemila tipi diversi, ed infine uno del primo tipo che si trova vicino alla porta, lontano da tutti gli altri.

Mistero.

Ed invece c’è una spiegazione semplice: ci sono in diversi a caricare un container, ed iniziano tutti con lo stesso codice; a un certo punto arriva un dragone cinese; il dragone è un buon ragazzo in fondo, vuole solo socializzare, ma i cinesi non lo sanno; pertanto uno dei lavoratori (quello che al momento si trova fuori dal container, lo vede, e realizza) si spaventa a morte e scappa nel deserto (senza mollare la scatola, ovviamente, sennò lo schiacciano sotto i portaceneri di granito). Quando torna, tutto escoriato e coi vestiti laceri (fuori ci sono pur sempre i cactus), gli altri hanno ormai quasi finito il container, per cui la scatola che lo sfortunato portava viene messa vicino alla porta, lontana da tutte le altre. Scoperto il mistero :)

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Ma la ricerca della verità è ancora lunga: quando troverò altre prove le pubblicherò :)

Avevo una strana sensazione.

Da giorni, da prima di Natale, continuavano ad arrivare nella posta questi cataloghi con scritto ACME, TNT o con altri nomi che piacerebbero a Wile E. Coyote.

Generalmente non sono molto interessato a questi periodici, che di solito contengono superofferte tipo “Compra 100 bottiglie di vino californiano a XX corone e stupisci i tuoi amici facendo loro capire che sei un intenditore” e cose così. Questi invece erano misteriosi. Ne apro uno. E ci trovo dentro ogni bendiddio esplosivo, è il paradiso del dinamitardo. Fuochi d’artificio in batterie da 2 a 50 kg e da 12 a 200 razzi. C’è anche qualche esplosivo e mina da terra, ma poca roba; la preferenza è per la roba che decolla. Poi ne guardo un’altro e vedo che la varietà è ancora migliore (eh, è ACME).

E allora mi informo timidamente in giro su come si pone il danese nei confronti dell’esplosivo. E scopro che sono malati. Di fronte a un chilo di tritolo perdono la razionalità e l’aplomb ed iniziano ad innescare acciarini, fiammiferi ed estraggono detonatori già pronti dalle tasche. No distinzione di classe o professione: dal giovane operaio al’anziano studioso di civiltà precolombiane, dagli in mano un razzo da 80mm di diametro e vedrai che trovano qualcosa che li accomuna.

Nell’area di Copenhagen le ostilità sono iniziate dopo Santo Stefano e non sono cessate fino a questa mattina alle sei, quando probabilmente sopraffatti dall’alcool e dal sottoscorta di esplosivi si sono tutti ritirati in buon ordine.

La notte scorsa, a mezzanotte, è stato l’apogeo: sembrava di essere a Beirut (per quelli che hanno la mia età) o per far capire anche ai più giovani diciamo a Baghdad: nuvole di fumo acre di polvere da sparo che si spandevano mollemente in mezzo alle case, le poche automobili private che andavano a passo d’uomo, fuochi d’artificio in qualunque direzione, non c’era un angolo di cielo buio. Relitti fumanti di bocche da fuoco e batterie esauste di razzi abbandonate in mezzo alle strade (ma non quelle dove passavano le corriere, per non interrompere il servizio pubblico: assatanati sì, ma con cognizione).

La fase intensiva non si conclude fino alle 2, e il tempo vola osservando la varietà e la bellezza dei fuochi tutt’attorno. Poi i colpi di mortaio e le gragnuole di mitraglietta si fanno sempre più rari, fino alla quiete completa di questa mattina. Tra l’altro mi assicurano che al calar della sera riprenderanno imperterriti.

Il primo pensiero che viene in mente è: con una diffusione e intensità tale di fuochi, ci sarà una lunga e triste tradizione di morti e feriti gravi, mani sbrindellate e occhi partiti.

E invece no. Stamattina guardo il giornale e vedo la fine della (triste) conta: in totale in tutta la nazione 6 feriti non gravi, nessun morto. Vero che siamo 5 milioni e mezzo e non 60 come in Italia, ma anche in proporzione il confronto non esiste.

E allora perché in Italia abbiamo morti, feriti, mutilati ogni anno e qui no?

Alcune ragioni, principalmente:

A) Tritolo legale: i fuochi d’artificio (quelli seri) sono legalizzati. Certo, c’è un limite nella quantità di polvere eccetera, ma quando hai dei fuochi d’artificio che salgono a 30-40 metri e non hanno niente da invidiare a quelli professionali, non ti servono razzi più potenti. A nessuno interessa che il proprio fuoco d’artificio raggiunga la luna. Visto che chiunque può comprare anche quelli veramente potenti, ci sono aziende che li producono, con professionalità e le massime norme di sicurezza; ed è estremamente raro che un razzo esploda o parta prima del previsto, o che rimanga inesploso. Che ti esploda nel baule della macchina mentre lo trasporti, è addirittura impossibile. In più, legalizzando, automaticamente sparisce la necessità che vengano prodotti in garage da Otto van Fetecchien (imparentato con Carmine ‘o Animalo). E in ogni caso il danese tipo non comprerebbe del materiale non certificato. Anche questo conta parecchio.

B) Sicurezza della persona: ho visto vari gruppi di persone operare su dei razzi giganteschi o innescare batterie di fuochi che nella semioscurità potevano essere scambiate per vitelli accovacciati. Come? Indossando sul vestito elegante gli occhiali da antinfortunistica, per esempio; e più d’uno anche i guanti appositi. Non sarà alla moda ma è utile. Poi: non tornando a verificare quando un razzo non parte, ma allontanandosi e avvertendo gli altri intorno che qualcosa non va. In pratica, maneggiando cose pericolose sì, ma ben consapevoli del pericolo. Ovviamente ci sono anche qui i deficienti che si sparano i razzi in faccia a vicenda, probabilmente sono quei 6 feriti di cui si parlava prima. E Darwin da queste parti potrebbe dirsi contento che la sua legge sulla selezione della specie funzioni come previsto.

C) La formazione: soprattutto i bambini vengono educati in questo senso. Non solo dalla famiglia ma dalle scuole, dalla televisione, dalle merendine, con ogni mezzo. Per evitare che stamattina, primo dell’anno, tante manine rimangano offese dai botti inesplosi ritrovati in giro.

Sono le 14. Tra poco calerà il buio.

In attesa che la guerriglia riprenda, Buon Anno dalla Danimarca!

PS giusto per chiarire: quando parlo di dinamite e tritolo, è solo per colorire il linguaggio. Sto parlando in realtà di polvere, e prodotti pirotecnici autorizzati per la libera vendita.

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