Serious


 

Dopo quasi 14 anni di onorato servizio, e centinaia di migliaia di contatti, il sito ufficiale www.freeant.net è andato offline.

Aggiungerei anche “dopo decine di periodici buoni propositi di aggiornamento, riorganizzazione, riscrittura” rimasti nel cassetto.

Era nato quando il web era ancora una meravigliosa novità, quando non tutti avevano ancora un modem per connettersi; Italia Online e Libero iniziavano ad offrire connessioni gratuite (cioè, si pagava solo la telefonata del modem; ebbene sì, prima di quello si pagava anche l’abbonamento!) e Internet era ancora una magia alla quale era difficile credere.

Tuttavia oggi freeant non ha più ragione di esistere.

Era realizzato con stile assolutamente amatoriale ma con contenuti ricercati, ed il successo tributatogli è andato ben oltre le mie più selvagge aspettative.

Da oggi rimane solo il blog, di uno Scarrafone neanche più danese. Prometto che cercherò di scrivere un po’ di più qui. E per fortuna che non sono Pinocchio, altrimenti sarebbe stato difficile continuare a scrivere questo articolo con un buco nel monitor :)

Vorrei dire grazie a tutti coloro che hanno visitato freeant.net, che hanno contribuito, aiutato a costruirlo; tutti quelli che hanno scritto per ringraziarmi per un pomeriggio trascorso in allegria a leggere le mie stronzate, e anche quelli che non lo hanno fatto ma per i quali è stato un posto in cui fermarsi a trascorrere un po’ di tempo. Grazie anche a tutti quelli che ci hanno messo letteralmente la faccia, in foto, e che hanno tollerato con bonaria benevolenza ciò che ho scritto di loro.

E questo è probabilmente anche il momento di svelare che nessun prodotto è mai stato certificato ISO/ROL.

Inoltre, il mitico protocollo di rete PCP/IP, purtroppo, non esiste. La Pasta Gorilla, con i suoi interessanti effetti collaterali nemmeno, ma forse la più grossa delusione per tutti quelli che lo attendevano con ansia è che non esiste nemmeno il Caccolkiller.

La supposta a reazione invece prometteva bene, ma non è mai arrivata a una commercializzazione su larga scala a causa di imprescindibili problemi nel sistema di mira, e quando mirava bene talvolta si verificava un problema nel distacco del serbatoio di carburante, rendendo il proiettile, diciamo, di dimensioni sgradevoli; le cavie umane che si sono simpaticamente prestate per i test non ringraziano. Comunque nessun animale è stato seviziato nel corso dei test, e questo è l’importante per il WWF. E, per la cronaca, l’originale era la mia, mica quella di facebook.

Infine, a quelli che per farmi rimuovere un contenuto, anziché scrivermi una mail da persone civili dicendo senti amico eccetera, hanno preferito fare i bulli ed arricchire il già probabilmente grasso conto in banca dei propri avvocati, una risata in faccia ed il memento che Darwin qualche ragione ce l’aveva, l’ha dimostrato, ed il tempo gli darà ragione. E nel frattempo, Montezuma è lì che sotto sotto (letteralmente) lavora..

Per il resto, Grazie a tutti!

 

freeant.net signing off

ATH+++

CARRIER LOST

;)

That’s it.

Like today, exactly one year ago, the love story with Tabby came to an end.

It’s peculiar how it happened. We have been loving each other like mad, we have been so utterly happy, and all of a sudden so many things come down tumbling.

It was december the second, and it was right after midnight that day when I wrote the first desperate message to a friend; many others followed, even though I knew they wouldn’t be read for many hours. It felt like screaming in the void, but I had to do it.

I also had time to buy a ticket to fly home, and the word “home” sounded so strange when I thought that it wasn’t Copenhagen. The ticket was for saturday the 4th, 2 days from now, and a lot of things happened in the meanwhile.

We both had our lives changed that night; I am not sure how she lived it but god knows if it did hit me hard.

I won’t get into details, but nothing would let think what was coming. And I am usually very aware of signals.

I can remember it as if it was yesterday: a long sleepless night, the emails sent, the knowledge of having lost a great love, and along, the chance of a better life gone in the span of one hour. That life I had hoped for for years, without knowing it existed. That life that, once found, I have fought for keepin’. And ultimately, one of the best girls I met in my life.
All, lost.

I remember at some point in the night, around 3 or 4am, I decided to do a thing I never did before: going to pay a visit to the huge park in front of our house. A thick snowy layer on the ground and utter silence reigned; and a moon, strangely not obscured by clouds, was spreading light everywhere and it looked like daylight. The crispy sound of my steps on the fresh snow were like offending that peace. So I stopped but stayed for a long time there.
I needed peace.
I reckon I don’t have it yet, not even now. But I like to think about that moment of complete solitude, yet close home; at least it was still home, even though for not so long.

I got back, wrote some more mails and at some point I felt overwhelmed and fell asleep. I think I remember Tabby putting a blanket on me early in the morning, before going at work.

The following day, december the 3rd, was some nightmare. I was drunk with sleeplessness but still, I needed to prepare my luggage. Choosing what to bring was the hardest part. My life was there, and whatever I’d choose, I knew something important of my life wasn’t going to be with me. It’s strange how one gets attached to things when they can’t have the person they crave to have close.

In the afternoon Tabby came home and, from then on, we had some of the best moments in our life together. That is, absolutely ordinary moments, but they seemed great even though they were belonging to something that was -already- gone.

We had a nice dinner, then we sat down for a movie, that we didn’t finish to watch as none of us slept a lot the night before, and eventually we went to bed.

But every single minute was precious.

Saturday morning, the 4th, we stayed in bed, hugging each other, and telling, or trying to remember to each other, the happiest moments we lived together. Like when we went at the aquapark, the funny moments in our long trips to Italy by car, the silly arguments at the mall, the italian vacations, or one of the best presents I ever received, that is a 2-days stay on the moen island to see the chalk rock cliffs.
Or simply, that time that we put on the xmas decorations, just a few days before. Sounds absurd, even to me, but that morning in bed was such a happy moment for the both of us!
And that hours were well spent, because we needed to be sure about our memories, about remembering every single detail, about our need to remember how happy we had been.

Then the time for leaving came, and I left.
She was on the door, waving me off. It happened too quickly for both, to understand how big that thing was.

I have been in Denmark again later, living in our very house, fixing things in the house as if nothing happened, but things were different. Today is the day, the anniversary of something that ended for good exactly one year ago.
And right as then, I can’t get my sleep..

At this point I am not that sure to heal.

I went for a walk tonight.
I didn’t see that park.
I didn’t see any.
I didn’t see the snow.
I didn’t hear the silence.
I miss her voice.

Somebody, please, forgive me for my mistakes.
And give me peace.

Questa non è facile da scrivere, contraddicendo nel suo intimo il titolo stesso del blog.

E’ triste.
Sono tornato in Italia.
La storia con la Foca Danese è terminata, dolorosamente. Certe cose succedono, equilibri apparentemente ferrei si rompono, e ti trovi tutt’a un tratto che il giorno prima è tutto a posto e quello dopo ti manca la terra sotto i piedi.
Altri se ne sarebbero sbattuti, io invece sono una persona troppo emotivamente coinvolta, ed il rapporto simbiotico tra lei e la nazione che mi ha ospitato mi ha letteralmente impedito di continuare a vivere là. Non ce l’avrei fatta.

Fortunatamente nessuna creatura c’è andata di mezzo: le Fochine che avevamo pianificato di fare non sono mai arrivate, e ben venga, per loro soprattutto. Ma anche per me, per non trovarmi nella situazione di un carissimo amico portoghese, arrivato circa nello stesso periodo, che ha avuto un figlio e poi è stato sganciato, e che adesso vive una vita da solo, e da poveretto, pur di poter stare vicino al piccolo quando -con le sue competenze- potrebbe tornare in Portogallo e, nonostante la crisi, fare la bella vita facile.

Sono tornato, e già mi sento un estraneo a casa mia.
I costumi benèfici della vita danese si applicano malamente qui. Giusto per fare un esempio, DEVI avere una macchina. DEVI andare in posta a pagare multe e bollette. DEVI metterti in coda in uffici odorosi di ascella per sbrigare pratiche. DEVI buttare nel cesso il tuo tempo libero pagando in prima persona per una disorganizzazione dolosa e criminale.

E poi.
Là non succedeva che ogni due per tre ci fosse un articolo sul giornale che ti faceva venire il vomito per il modo in cui la tua Nazione viene amministrata. E sono stato buono, perché l’impressione è che l’Italia in questo momento non sia amministrata per niente.
Circa 700 anni fa, Dante immaginava l’incontro, in purgatorio, tra Virgilio e Sordello da Goito; nel suo canto VI, tutto politico, tra le altre cose declamava:

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!”

Lo conosco da trent’anni, ma non riesco a togliermi dalla mente quanto attuale sia questo verso, al di là del terzo rigo, che all’epoca era un’allegoria mentre oggi è realtà di tribunale. C’è un cancro, in Italia, ma non sono certo i magistrati.

Ma facciamo i positivi, gli ottimisti. Almeno non devi rivolgerti a Merdos Pizza, visto che hai una più ampia possibilità di scelta.

Era bello vivere in Danimarca, però, cazzo.
Ragazzi, se mi mancherà..

Sono in Italia per qualche tempo, per prendermi cura di alcune consulenze ed affari in generale.
E vedo che, nel Paese in Crisi, dove la gente fa fatica ad arrivare a fine mese, continuano a bombardare con pubblicità di automobili, e non sto parlando solo di utilitarie.

Ce n’è una così particolare da farmi prendere il disturbo di scriverne.

Intanto c’è da dire che mi sono servite alcune visioni prima di prendere coscienza degli avvenimenti nel breve filmato, ma cercherò di spiegarlo come posso.

Innanzitutto credo che il traguardo sia quello di sostenere che non è necessario avere un Land Rover per fare certe cose, anzi, certe wagon o certi SUV possono fare ben di meglio. E già qui ci sarebbe da discutere. Infatti l’utilità che capisco io dei SUV è quella di rompere le palle davanti all’asilo dove mamme depositande parcheggiano come viene loro meglio, ovvero su marciapiedi e ciclabili. Se devo andare abitualmente fuori strada mi compro appunto un Land o una Jeep, mentre se devo stare in strada mi compro qualcosa di più consono.

Comunque.
La situazione è questa: c’è una coppia che abita in una zona alpina, è inverno. Casa di lei si trova più in alto della casa di lui (altimetricamente più elevata, diciamo per chiarezza).

Lui telefona -ovviamente non da una cabina- e dice che con questo tempo probabilmente non ce la fa ad arrivare su da lei. D’altra parte se non crei la suspense, la cosa non funziona.
Lei, languida e sensuale come una papera di gomma, lo aspetta, distesa come una sirena su una poltrona ergonomica, davanti ad una vetrata che dà su una distesa infinita di nevi eterne; risponde con un monosillabo che potrebbe voler dire da “Okay” a “molto bene” a “porco qui porco là”. Non importa, tanto lui ha già buttato giù.

A quel punto lui guida, mentre lei, vestita esattamente com’era all’interno della casa, si mette gli scarponi da sci ed inizia a scendere in neve fresca in un canalone così ripido che il solo pensiero farebbe tremare le vene dei polsi a Reinhold Messner. Lei scende, lui sale: per puro effetto didascalico/scenografico li fanno incrociare, inconsapevoli, a metà strada.
Lei arriva, sgancia lo sci.
Lui arriva a casa di lei, senza scendere dall’auto guarda dentro la vetrata, chiama e dice “dove sei?”; lei risponde e dice “da te”. Lui, senza battere ciglio, dice “arrivo”.

E poi ti dicono quanto sia figo avere quella macchina e bla bla.

Volevo fare un paio di considerazioni.

1)
La mettono come se per arrivare a casa da lei ci volesse un gatto delle nevi o un elicottero della Protezione Civile; invece, quando lui guida, il tratto di strada che si presume impegnativo è una normalissima strada di montagna, pulita ed apparentemente anche salata.

2)
Quando lui arriva, guarda dentro la vetrata.
Ora, se una vetrata di una stanza scura si affaccia su un crinale completamente innevato, in pieno giorno, farà un riflesso che dentro non riesci a vedere neanche se preghi San Gennaro. Ma forse quell’auto ha anche dei dispositivi per risolvere questo problema.
Comunque, lei non c’è, lui perspicace capisce che lei deve essere fuori. E chiama immediatamente.

2a) Ma che casa è? C’è una stanza sola?
Anche se è un unico open space, il bagno per favore no! Quindi, se le scappava la pipì, non poteva farla? La faceva sul tappeto affinché lui (che comunque non doveva essere lì) potesse a colpo d’occhio rendersi conto che lei era a casa?

2b) Oppure. Lui ha appena telefonato spiegando le difficoltà a salire fin lassù; lei poteva essere in cucina a spegnere i fornelli, porconando perché stava preparando lo stracotto d’asino -ma a causa di quella mezza sega di automobile le toccava mangiare una pizza da “il Lurido” giù a valle.

No, lui sapeva che lei non era in casa. D’altra parte uno che guida una macchina così deve essere veramente un tipo speciale, bello come un apollo, scaltro come una faina; e se la compri diventerai così anche tu!

3)
Sono evidentemente due idioti.
Da quel che lui dice, guidare fin su è pericoloso.
Quello che fa lei è chiaramente, evidentemente, criminalmente pericoloso, visto che rischia di provocare una slavina sulla casa di lui, e magari anche sulle case di altri ignari valligiani che molto più saggiamente ed economicamente si sono comprati una panda 4×4.
In ogni caso, da quel che sembra, entrambi rischiano la vita; altrimenti non ci sarebbe suspense.

Ma non potevano dirselo? Studiare un piano? “Amore guarda, ‘sto cesso di macchina.. proprio non mi fido. Vediamoci domani”. Ma loro no, anche l’ormone è spropositato, come le loro bellezze e capacità, per cui non ci sono cazzi, vogliono vedersi oggi. D’accordo, studiamo un’alternativa: “Amore, tu sei brava con gli sci, perché non vieni giù da me, fai attenzione, vai piano, ti aspetto ciao ciao kiss kiss”.
Però dillo, porco cane! Ed invece -solo per far vedere che sei l’Uomo Vero- sbatti giù il telefono, creando così un pericolosissimo equivoco che potrebbe costare due vite e non una. La tua, va bè, Darwin potrebbe trovarci un senso, ma non è saggio interrompere stirpi di papere di gomma.

No. Lui chiama e dice “potrei non farcela, CLIC”. E poi prende e guida fin là. Mi ci sono volute alcune volte per capire, quando lui arriva ad una casa, di chi è effettivamente quella casa.
Una volta capito non c’è stato spazio per dubbi: lui è un Idiota Emerito.

Lei dal canto suo non è da meno. Ti ha appena chiamato, non ce la fa a venire, ti sbatte giù il telefono senza neanche prendere in considerazione altre opzioni. Quindi? Cosa voleva dire? Faccio qualche ipotesi:
a) sai che è un Idiota, lo conosci bene, sai che guiderà fin da te. Reazione: se lo sai, perché diavolo vai via, rischiando la vita nel canalone?
b) è un gentleman, per cui non ha completato la frase, in realtà voleva dirti “senti non ce la faccio ad arrivare, mi fermo giù a casa mia con un paio di zoccole, ci vediamo al disgelo”. Reazione: se ci stai insieme sei una cretina.
c) lui è il vero Maschio Alfa, quello che sceglie l’automobile giusta, ma perché rischiare? E’ anche un fottuto maschilista e voleva in realtà dirti “senti bella, non ce la faccio a salire, muovi il culo e vieni tu, stronza, prima che digiti il numero delle zoccole”. Reazione: non si trattano così neanche le papere di gomma!

In ogni caso, arriva il momento della resa dei conti: lui è accecato dal riflesso, però lo gestisce e vede che lei non è a casa: infatti lei è davanti a casa di lui.

Lui la chiama: “dove sei?” e lei: “da te”, lui: “arrivo!”.

Poco credibile.
Se io fossi stato in lei avrei avuto un colossale giramento di coglioni e gli avrei detto numerosi aggettivi per avermi fatto rischiare la vita inutilmente nel canalone. Poi avrei cancellato il suo numero, avrei chiamato un amico col Land Rover, mi sarei fatta riportare a casa, avrei riacceso sotto lo stracotto, aperto una bottiglia di barolo, e magari più tardi avrei scoperto che quelli con il Land Rover “do it better”.
Lui, dal canto suo, avrebbe dovuto ammettere con la coda tra le gambe di essere un Idiota, se non altro per aver rischiato la vita di lei e la propria solo per poter fare il figo nello sbattere giù il telefono. E invece insiste: “arrivo” col tono di chi non può sbagliare. Ma chi ti credi di essere? Ah già, scusa, sei alla guida di quell’auto.. non puoi non essere nel giusto.

In ogni caso, il fine di questo annuncio pubblicitario è quello di farti sentire bello come un apollo, scaltro come una faina, possessore di una macchina che per le sue qualità sorprenderebbe anche il suo costruttore, e possessore (sic!) di una bellissima papera di gomma, che però non è solo bella: infatti sugli sci è anche meglio di Reinhold Messner.

Quello che fa venire in mente a me, invece, è che, se comprare un’auto come quella ti fa diventare un Idiota così, meglio pensare a un’altra marca e modello.

Quando lo dico la gente non ci crede.

Qui in Danimarca la logica è di scoraggiare l’uso delle auto e di incoraggiare quello dei mezzi pubblici e perché no, delle biciclette, anche se è inverno, anche se nevica “abbestia” come direbbero a Livorno, e le condizioni generali del tempo fanno francamente cagare.

Foto presa dalla cucina di casa nostra, in Vigerslevvej, 5 minuti di treno dal centro di Copenhagen. Posa di 8 secondi, visto che è notte.

E’ una strada di passaggio, una specie di scorciatoia per chi conosce la zona; anche se non è troppo frequentata, non si può dire che sia una delle strade trascurate dall’amministrazione pubblica.

Eppure, le condizioni sono queste:
Ciclabili: pulite e “salate”.
Strada: chissenefrega.

E provateci a dirmi che è un fotomontaggio!


pulizia-strade-01
 
PS ho cercato di inserire un ciclista nella foto, ma con la velocità che hanno, in 8 secondi quello è già in centro a bersi una birra.


Addendum: 4 ore (e molta neve) dopo:


pulizia-strade-02
 
Dannazione, non hanno pulito bene :)

Aprile, tempo di dichiarazione dei redditi.

Non so come sia oggi la situazione per il lavoratore dipendente in Italia, ma se non sbaglio c’era quel modulo che ti veniva consegnato dal datore di lavoro che poi dovevi pensare tu ad integrare ed inoltrare. CUD? Massì, il CUD.

Qui no, non lo devi fare; indipendentemente dal fatto se sei dipendente o autonomo, l’ufficio delle tasse ti manda il tuo estratto conto, dicendoti se sei a debito o a credito.

Se sei a debito, vai sul sito e paghi con la VISA o altro metodo a te più congeniale.
Se sei a credito, appena possibile ti fanno un bonifico sul conto corrente bancario.

Se non ricordo male, invece, in Italia la sollecitudine ha due pesi e due misure, a seconda del caso; se sei a debito devi correre a pagare; se sei a credito puoi -a tuo carico- fare domanda di liquidazione, che ti arriverà con molta calma; oppure puoi decidere di tenerli lì nel caso l’anno prossimo tu sia a debito, dove farai il conguaglio e poi si vede chi deve cosa a chi. E nel frattempo i tuoi soldi fanno caldo nelle tasche di qualcun altro. D’altra parte, se sei stato così coglione da pagare di più, non sarà mica colpa di chi li ha presi.. e ringrazia che non ti fanno pagare per il lavoro extra di conservare i tuoi soldi per qualche mese/anno.

Qui sotto si trova parte del mio “estratto conto” tasse per il 2009:

Tasse 2009

(cliccaci sopra per vederlo)

Dunque, l’azienda per cui lavoro ha versato troppo, per cui ero a credito di 2987,52 corone danesi (circa 400 euro) .

L’ufficio delle tasse mi ha comunicato che me le renderanno appena possibile, facendomi appunto un bonifico. Ma siccome loro sono stati indebitamente in possesso di soldi che appartenevano legittimamente a me, ovviamente me li restituiscono aggiungendo gli interessi. 0,6% che non è un granché ma è sempre meglio di quel che ti danno certe banche. Ho scritto “ovviamente” ma certe cose che dovrebbero essere effettivamente normali e dovute, per come siamo stati abituati nella nostra patria di origine mi stupiscono ancora.

Totale: 3005,00 corone. Poffarre, hanno fatto un arrotondamento di 44 centesimi -a mio danno-! Ma, sono certo, troveranno il modo di ridarmeli l’anno prossimo. Sono meno di 6 eurocent, posso sopravvivere senza.

Non ho altro da dire su questo argomento (Forrest Gump)

Sì, ho letto del “Massacro alle Faroe Islands”.

L’anno scorso, circa in questo periodo.

Un casino.
In tutto il mondo, tutti con una incazzatura a mille per le povere balene-delfino che vengono massacrate in questa lontana provincia danese.
E tutti ad appellarsi alla Regina Margrethe II di Danimarca affinché fermi lo scempio. Senza sapere che le Faroe sono autonome e la Regina nulla può nei loro confronti.

Il fattaccio: massacro alle Faroe Island, mare rosso sangue!
I Fatti: alle Faroe Island in un giorno particolare dell’anno cacciano delle balene delfino (di una specie non protetta perché largamente entro i limiti del pericolo di estinzione, dati UE, googlalo se non mi credi); il mare è rosso perché la caccia avviene in una baia strettissima, è una tradizione vecchia di secoli e la sua funzione era di procacciare il cibo per l’inverno, non è più necessaria ma lo fanno ancora.

Non che non mi faccia inorridire, ma mi fa inorridire di più, e pure incazzare stavolta, la strumentalizzazione, l’ipocrisia, la volontà aggiungersi al coro e di usare un evento per autopromuoversi.

Prova a cercare “Faroe Island Massacre” su google. Appaiono centinaia e centinaia di pagine, bovinamente riecheggianti lo sgomento del primo che ha scoperto e pubblicizzato l’evento, “originale” al quale non è più possibile risalire visto il tremendo bailamme mediatico.

Controlla le date.
2008.
Tut-ti.

Cos’è, quest’anno alle Faroe non l’hanno fatto? Viste le feroci invettive dell’anno scorso hanno rinunciato alla loro tradizione secolare? Cos’hanno detto, “ma sì, dai, avevano ragione, non facciamolo più”?
Magari.
E invece mi risulta che, come tutti gli anni, lustri, decadi e secoli passati, quest’anno sia stato come gli altri.

E dove sono quelli che l’anno scorso gridavano allo scandalo?
Dov’è quella fermezza nel classificare l’evento come un disastro dell’ecosistema?
Dove sono questi paladini del cetaceo, quest’anno, mentre decine di balene delfino venivano sgozzate come sempre nell’indifferenza (eccetto nel 2008)?

Ah già, forse la bella stagione, l’estate ottobrina. O magari è perché è iniziata la nuova serie di Friends, fanculo le balene, si guarda la TV.

E poi dicono che i Paladini non sono ipocriti.
Ho dovuto far passare un anno, ma li aspettavo al varco.
E ci sono cascati come polli.
Polli Paladini, però.

AAAAAAARGH!

Lo so che lo sai cos’è un coccodrillo. E’ quell’articolo che ogni buon giornalista tiene nel cassetto, bello compilato e pronto per commemorare la memoria di persone conosciute quando schiantano. Basta riempire lo spazietto della data.

Va bè, primo io non sono un giornalista e non ho nessun coccodrillo nel cassetto, secondo ho dovuto digerirla un pochino la cosa, per cui ci ho messo qualche giorno.

Quando ero in Italia ho fatto volontariato in Croce Rossa per quindici anni. Ero autista di ambulanza. I miei servizi in Croce Rossa erano principalmente per il 118, ma ho fatto anche altre cose tipo protezione civile, cose così.

Alfredo era uno di noi volontari. Un volontario anziano, uno di quelli che dici sono sempre stati lì, e ti vien da dire che erano a Solferino, di fianco a Henry Dunant quando l’ha fondata.

Alfredo di cognome faceva Held, e rivelava a tutti con malcelata soddisfazione che in tedesco vuol dire “Eroe”. È la forte presenza austriaca nella zona di Mantova nel diciannovesimo secolo che ci ha regalato tanti cognomi in lingua teutonica. Ariano va bene, ma la femmena italiana ha il suo fascino, evidentemente.

Alfredo era un uomo dall’umore alterno, un cocciuto, un bastian contrario, talvolta anche un rompipalle, ma lo faceva un po’ per la sua attitudine, e molto per la sua esperienza. A mio parere era uno che guardava lontano. E negli altri vedeva i potenziali difetti, e i potenziali errori, che quando sei in soccorso di emergenza e il tempo corre troppo veloce possono rivelarsi catastrofici. Alla faccia di tutti i giovincelli che dopo un corso pensano di saper fare la respirazione bocca a bocca al mondo, e di salvarlo.

Alfredo c’era sempre e conosceva tutti, e anche quando non era in turno lo trovavi in Sede ugualmente.
Se avevi bisogno per completare un equipaggio, lo chiamavi e lui correva. Non senza mugugnare, ovviamente, ma in realtà era felice di farlo.
Era un uomo solo, e la Croce Rossa era la sua vita. E, benché col suo personalissimo modo, lo dimostrava. In fondo era un uomo buono, e non potevi non volergli bene.

Era malato da tempo, Alfredo, ma non si è mai curato propriamente.
E così quando il Bringo, un ex collega volontario, ha avuto il buon cuore di avvertirmi che Alfredo se n’è andato, non avevo parole. Sai quelle persone che ci sono sempre state e ci saranno sempre, il concetto è quello. E quando ti rendi conto che la seconda parte dell’asserzione è falsa ti crollano almeno un paio di cose.

Ammesso e non concesso che esista un aldilà, sono certo che si sta lamentando di qualcosa. Che è troppo caldo o troppo freddo. Che si annoia. Che non c’è il caffè. Che c’è ma che non è come quello che fa lui. Che gli mancano i tortelli di zucca. Che si stava meglio quando si stava peggio. Che non gli piace questo coccodrillo.

Ma no, probabilmente si starà lamentando che non ci sono ambulanze da guidare. Anche se, diciamocelo: a chi servirebbero?

..che facevano l’amore con la figlia del dottore.
Ma non c’è niente di porno, non è come la filastrocca. C’entra solo il dottore in questa storia.

Già di per sè la gestione del medico non è male.
Hai bisogno, chiami (o mandi una email) e prendi appuntamento dalla efficientissima signorina vichinga. Ti presenti, aspetti dai 5 ai 15 minuti, e il medico ti riceve, fine. Niente code nè salotto obbligato coi forzati che vanno a mettersi in coda con la speranza che oggi almeno il medico non debba uscire per una urgenza. O coi vecchietti da assecondare perché essendo in pensione non hanno niente da fare e vanno a mettersi in sala d’aspetto con la speranza di trovare acciacchi in comune con gli altri astanti ultra-ultra-N-enni e avere finalmente l’alibi per poter inveire in coro contro “il mianto” (amianto), o il catrame “dello sfalto” (asfalto), o le mezze stagioni, o i “conchiuter”, che indubbiamente rovinano tutti.

Dicevo. Mi mancano delle medicine che sono solito prendere.
La procedura normalmente è questa: io telefono o mando una mail, loro inseriscono la ricetta nel sistema (elettronico) che viene recapitata ad una farmacia di mia scelta (potrebbe anche non essere la solita), dove dopo 15-20 minuti posso passare a ritirare i farmaci.

Mi piace questa cosa, se non altro per il meccanismo in sè, per cui all’ambulatorio non vado mai.

Stavolta invece passavo lì davanti, e allora butto dentro la testa.
La vichinga si lamenta che è un po’ che non mi vede (solo da un punto di vista professionale, eh; bbona com’è, magari lo dicesse in un altro senso..) e sostiene che, visto che non c’è tanta gente, il medico vorrebbe vedermi. OK, le sparo un sorriso come se l’avesse detto nell’altro senso e dico: aspetto.
In 15 minuti sono dentro. Mi chiede come va la vita, mi scruta la faccia, mi guarda le orecchie, mi prova la pressione, mi osserva la lingua, mi mira all’occhio con uno strumento luminoso, procede con l’altro, fortunatamente si ferma prima di fare altre ispezioni più invasive, OK, tutto a posto.

Poi mi guarda con aria grave e fa: eh mi sa proprio che dobbiamo fare le analisi del sangue.

Prima che io possa dire OK non le ho mai fatte prima, dimmi in che centro analisi devo andare, in che giorno, a che ora, eccetera, mi ha già laccioemostatizzato, trafitto il braccio ed estratto due campioni.
Protesto, moderatamente, dicendo che ho già fatto colazione; risposta: il sistema si auto-tara sull’orario ed assume le alterazioni dovute a colazione, pranzo o cena. Non posso che tacere, e vedere il terzo campione che si riempie.
Mi tura la falla con un batuffolo di ovatta rigorosamente senza alcool (qui i batteri fetenti muoiono durante l’inverno, pare, e d’estate sono troppo occupati a fare picnic) e mi spedisce fuori senza cerimonie.

Due giorni dopo ricevo una email che dice clicca qui per vedere i risultati (*).
Clicco, i valori sono a posto, noto che i miei leucociti sono vicini al limite superiore ma niente di preoccupante visto che li ho sempre avuti alti, fatto. Stampo, giusto per essere sicuro di averli, visto che il link si autodistruggerà in 5.. 4.. 3.. 2..

Ah, dimenticavo. Il medico, che ovviamente riceve copia dei risultati, mi aveva detto che se per caso c’era qualcosa che voleva approfondire mi avrebbe scritto un’altra email con data e ora in cui andare in ambulatorio.

(*) Nota che comunque il sistema è sicuro e garantisce la tua privacy: nella mail che ricevi sul tuo indirizzo personale c’è un link da visitare che appunto scade dopo pochi giorni e dove per accedere devi immettere un dato che conosci solo tu. Semplice, razionale, efficace.

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OK io vivo qui e a me sembra normale ormai, ma voglio analizzare la cosa facendo una piccola comparazione a livello di burocrazia e di code.

Italia.

Vai dal medico (coda numero 1) per ottenere la ricetta per gli esami.

Levataccia per andare al centro prelievi, (coda numero 2), e di cattivo umore perché non hai neanche avuto la possibilità di bere un doveroso caffè. E sei circondato da gente nella stessa condizione, il che non rende l’esperienza positiva da un punto di vista sociologico. Sorrisi (?) nervosi, dietro ai quali c’è un malcelato sentimento di ostilità tutti-contro-tutti del tipo “ma sti coglioni stanno tutti male? perché cazzo sono venuti proprio stamattina” e cose così. Senza pensare che domani è uguale o forse è peggio.

E’ il tuo turno. La possibilità di trovare un macellaio che ti ravana nella vena durante il prelievo non è trascurabile, in più sono incazzati per la stessa levataccia, che loro poveretti fanno tutti i giorni. “Torni tra una settimana per ritirare i risultati”. Però almeno hai il batuffolo con l’alcool.

Dopo una settimana: coda numero 3, senza contare “dove” devi andare. Specifico meglio: devi andare tu, a prenderteli, e perdere tempo per questo.

Torna dal medico, dovrai pure farteli leggere, i risultati: coda numero 4.

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Ora, è così difficile?

La coda numero 1 non si può eliminare; non è che possono prendere il sangue dal cane del medico.

Ma le altre? Tre code spazzate via. E personale che può essere utilizzato per fare qualcosa di più produttivo, edificante, e meno noioso per loro, che distribuire risultati di esami.

Ah già, il vecchietto che non ha la posta elettronica. E’ il classico granello che inceppa il meccanismo. Che si fa? Ho un’idea! Glielo mandiamo a casa per posta!

Proprio perché è un vecchietto, non vorrai mica metterlo su un treno o un autobus, poi in coda, poi su un treno di nuovo verso casa, per prendere un banale pezzo di carta che un giovane e baldo postino può consegnarti comodamente nella cassetta postale. O no? Costerà di più qualche francobollo o un impiegato a tempo indeterminato allo sportello? (sì lo so che possono essere *migliaia* di francobolli; su questo aspetto commenti, e sono pronto a rispondere :))

E per le comunicazioni del medico nel caso in cui lui ti voglia vedere c’è sempre la vichinga, e il suo telefono.

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Medaglie e Rovesci.

Uno dice beh è il paradiso. Eh no.
La razionalità e la funzionalità stanno alla base di tutto. Questo comporta un costo non trascurabile.
Facciamo finta che stai male, ma non sei in pericolo di vita o non hai i sintomi di chi lo è. Magari ti succede di notte. Un mal di denti da urlo alla “fantozzi al campeggio”, un mal di testa deciso, un mal di pancia da “notte sul vaso”, un’unghia incarnita, un dolore mestruale, mal di quà mal di là, ma niente da far pensare neanche lontanamente che stai morendo. Oppure, peggio.. un certo dolore che ricordi un cugino di un fratello di un amico che lo aveva ed è morto (il giorno dopo, arrotato da una macchina).

Beh? Te-lo-tie-ni.
Puoi rovistare nell’armadietto alla ricerca di qualche residuo non scaduto di pain-killer, di palliativo, leggasi “aspirina”, ma medici di guardia e ambulanze te li scordi. Non provarci neanche ad andare al pronto soccorso: se non rantoli ti spediscono a casa senza neanche guardarti.

Facciamo invece l’esempio che sei in pericolo di vita, o che lo sei potenzialmente, ovvero hai tutti i presupposti per. O semplicemente che in qualche modo è grave e va preso in tempo.
Ambulanza, ospedale, medici a tua disposizione.
Come funziona? Facile. Perché non devono prendersi cura di tutti quelli che hanno l’unghia incarnita o un certo dolore che un cugino di un fratello bla bla.

Il rapporto che gli utenti hanno con il medico, in questi paesi, è quanto di più distante dal rapporto mamma (medico)/figlio piccolo (paziente): in questo modo si fa alla svelta a limitare l’ipocondria. Esempio:
Paziente: AIUTO!
Medico: Stai male?
P: Sì.
M: Sei in pericolo di vita?
P: Sono convinto di sì.
M: Vediamo. cosa senti?
P: Questo e questo e persino questo! Oddio dottore mi aiuti, sto morendo!
M: Capisco. Tuttavia da quel che vedo io no, non stai morendo. Anzi! Arrivederci.
P: …

E’ educativo. Alla fine ti stufi anche tu dei tuoi propri millantati acciacchi e pensi a goderti la vita, altroché :)

Di certo c’è una cosa. Non è un sistema per noi italiani, abituati ad avere il dottore-chioccia che ci prende sotto l’ala e che ci dà l’impressione che qualcuno si prenda cura di noi, scaricandoci dalla responsabilità dei nostri propri malanni; quello stesso qualcuno da incolpare ferocemente poi dopo, quando qualcosa va storto perché tanto avevamo la coscienza a posto ed abbiamo continuato a fare il porco comodo che ci pareva.
Molto spesso è questa la cura stessa: potrebbero darti amorevolmente gocce d’acqua fresca invece della Novalgina, il cosiddetto placebo, e tu italiano già ti senti meglio.

Nessuna meraviglia che il nostro popolo non sia, in genere, soddisfatto del servizio sanitario danese.

Questo è un articolo apparso sul sito di Serate Italiane, che è una comunità interculturale italo-danese.

Si tratta della trascrizione (solo dei punti chiave) di una intervista ad un ministro che ha chiesto dei rimborsi per alcune spese -apparentemente non giustificate- effettuate in missione e che in ogni caso non portavano giovamento alla nazione ed alla popolazione. Stiamo parlando in totale di qualcosa come 652 euro, una bazzecola rispetto alle unità di misura italiane. Bastano tuttavia per mettere in piedi una intervista alla TV nella quale il ministro viene incalzato e, gentilmente ma con fermezza, lo si invita a giustificare il suo operato. E non si tratta di una eccezione: è un normalissimo giornalista televisivo come ce ne sono tanti, animato dal fatto che la cosa che interessa di più ai contribuenti è sapere che il denaro pubblico è ben utilizzato.

Leggilo QUI. Poi prova a pensare in Italia se uno (un giornalista, intendo) osasse fare una cosa del genere. Ipotesi qualunquistiche: Primo non gliela lasciano fare, alla facciazza zozza della libertà di stampa. Poi lo fermano o arrestano, perché non si sa mai. Poi ne distruggono l’immagine classificandolo come un freak, ed infine solo se è estremamente fortunato non mandano i picciotti a trovarlo, come invece è tristemente successo altre volte. Oppure mandano i picciotti prima e poi lo propongono al vaticano per la beatificazione, ma la sostanza non cambia molto.

In ogni caso, come dice l’autore: “e poi mi chiedete ancora perché vivo in Danimarca?”

Penso a Mastella e al suo (NOSTRO! va bè, VOSTRO!) aereo, usato privatamente per andare a vedere il gran premio.. vado a memoria: Schifani che scroccava l’ingresso al cinema con la famigghia era un dilettante, al confronto, ma fa comunque un po’ schifo (nomen omen?) se pensi che c’è qualcuno che -non solo- al cinema non ci può proprio andare, ma per far 60 deve anche andare a scroccare la cena.
Forse c’è una possibilità di cambiare le cose: fare in modo che quante più persone possibili capiscano che quello che in Italia vogliono farvi vedere, così circoscritto dai limiti dei patrii confini, non è l’unico mondo possibile.

Lo Scarrafone :)

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