Fiduzia l’ho preso in prestito da una canzone dell’indimenticato album di Andrea Mingardi, precisamente Gisto e Cesira. In calce trovi il testo iniziale della canzone, in vernacolo emiliano e tradotta in italiano.
Mi sono finalmente comprato una bicicletta.
Figata, una MTB (Mountain Bike), blu, piena di sospensioni, molle dappertutto, il risultato è che nonostante sia in alluminio pesa come una portaerei in assetto da combattimento con tutti gli aerei sopra. Ma non è un problema, non devo farci il Sella e il Pordoi, la Danimarca è piatta come un’asse da pasta, la cosa importante è prendere velocità; il problema è semmai, quando dopo chilometri l’hai portata a velocità smodata, frenare la portaerei.
Comunque, era in “tilbud”, cioè in offerta speciale, e ho capito perché:
A) te la devi montare tu.
B) aveva evidentemente un problema con le camere d’aria.
Il risultato è stato che:
A) Fortunatamente le molle sono già compresse, sennò con la mia abilità (e fortuna) il mollone centrale mi decollava e lo ritrovavano in centro africa dove una tribù un po’ indietro avrebbe cambiato culto e venerato La Grande Molla. Almeno fino alla prossima bici dove mi partiva qualcos’altro e atterrava nello stesso posto. Però ho porconato (proferito blasfemie) un pomeriggio intero per trovare le chiavi giuste per stringere viti e serrare bulloni e brugole, ma alla fine è andata insieme. Il manubrio è ancora un po’ lasco ma spero di trovare la brugola giusta presto. Nel frattempo uso i pali dei semafori per aggiustare le cose quando col manubrio punto da una parte e la bici va da un’altra.
B) mi sono recato al vicino negozio di biciclette, dove mi sono servito del gonfiagomme esterno al negozio (qui tutti i negozi di bici hanno un tubo in pressione, a disposizione fuori dal negozio, che puoi usare senza neanche dire bao all’esercente; il quale si è infatti stupito quando gli ho chiesto se potevo usarlo. Usanze diverse). Ebbene, sono certo che la gomma era ancora molle, quando l’esplosione della camera d’aria posteriore ha lacerato il silenzio del tranquillo quartiere allarmando la gente da una certa età in su. Infatti siccome l’ultimo attentato qui è stato nel 1967, solo le persone più in età se lo ricordano. I giovani hanno pensato a una trovata pubblicitaria della locale birreria, tirando innanzi e annotando mentalmente che è ora di andare a controllare in tutti i pub circostanti se ci sono birre nuove. Dopo rinnovati porconamenti lascio la bicicletta al biciclettaio e procedo a piedi (stavo andando al lavoro). Tra parentesi, il biciclettaio è un turco perfettamente integrato che pronuncia smørrebrød (il pane) e Sjælør (il posto dove vivo) meglio dei danesi che sono danesi da generazioni.
Per il resto la bicicletta funziona bene: come la moto di John Holmes, non dà pene.
Ma veniamo alla Fiduzia, che in italiano vuol dire “Fiducia”.
Quando ho comprato la bicicletta, c’era un accessorio che si poteva comprare a parte: una specie di lucchetto corazzato da fissare graniticamente al telaio, così non sbatte tintinnando ogni volta che c’è un’asperità del terreno, non lo dimentichi in giro, eccetera. Bene, ‘sto lucchetto costa tipo 10 euro e comprende anche un’assicurazione. Se ti fregano la bicicletta, se puoi provare di avere il lucchetto (ti rilasciano il certificato), te la rifondono interamente.
OK, io sono italiano, e sono rimasto di carta. MA COME! Provare che avevi il lucchetto? E se uno lo compra e non lo monta? E se uno non lo chiude? No no, si va sulla fiducia, dice il commesso, e più stupito di me aggiunge che è chiaro che se uno lo compra poi diligentemente lo monta e lo chiude ogni volta che la bici potrebbe essere in periglio.
Ora, io non voglio offendere i Napoletani onesti, ai quali chiedo venia per lo stereotipo che si portano appresso, ma una cosa così a Napoli, te la immagini? La moltiplicazione dei pani e delle MTB. Quante biciclette blu piene di molle ci sarebbero in giro? E quanti fallimenti di agenzie di assicurazioni?
ANT
PS segue il testo della prima strofa di Gisto e Cesira.
Me son Gisto e te Cesira,
siamo soli, l’è bela sira,
con uno stratagemma astuto degno di Richelieu,
cun al me muturèn at’ho purtè in mes a un prè,
ai ho fat feinta ch’al s’è scasà in coursa,
con la ciaf ingleisa a fag al siòc,
mentre te per la fiduzia t’è rampicada in vatta un alber d’albicoc..
Traduzione:
Io sono Gisto e tu (sei) Cesira,
siamo soli, è già sera,
con uno stratagemma astuto degno di Richelieu,
con il mio motorino ti ho portata in mezzo ai campi,
ho fatto finta che si è rotto,
faccio lo sciocco con la chiave inglese,
mentre tu per la fiducia ti sei arrampicata in cima a un albero di albicocche.
Tak for Sidst.
Vuol dire grazie per la volta scorsa (che ci siamo visti).
Dunque ero a una festa. A un certo punto si avvicina un’amica, che però è anche un gnoccolone orizzontabilissimo, di quelli che lupo ululì, e mi abbraccia e mi bacia (senza lingua, cosa stai pensando!) e mi dice “grazie per la volta scorsa”.
Allora: io sono italiano, e anche con i migliori sforzi non riesco ad allontanare da me più di tanto quello che è volgarmente chiamato “italian stallion pensiero” per cui i miei neuroni e sinapsi si tuffano tutti insieme ad elaborare cos’è successo.
a) evidentemente Tabby non lo sa visto che è di fianco a me e non fa neanche una piega.
b) se l’avessi trombata me lo ricorderei piuttosto bene.
c) non me lo ricordo.
d) probabilmente all’ultimo party ero ubriaco stenco e quello è il motivo per cui non me ricordo.
e) con ottima approssimazione, stante che ero ubriaco e non mi ricordo, abbiamo fatto sesso.
Il tutto naturalmente avviene in una frazione di secondo; io sono ancora stordito dall’evento, dopodiché arriva un altro amico, lei gli va incontro lo abbraccia e gli dice “grazie per la volta scorsa”.
I miei neuroni si coalizzano e formano nella mia mente la frase “Brutta Zoccola”. Sì, con le Maiuscole.
Siccome ho ancora la faccia statica, fatti salvi alcuni tic che pervadono la mia muscolatura del viso visto l’intenso pensare, qualcuno si preoccupa (la zoccola) e mi chiede cosa c’è. Io freno i tic e, con completa padronanza di me, utilizzando tutte le astuzie verbali ed i giri di parole che la dialettica consente dico scusa ma non ricordo cosa c’è stato tra noi la volta scorsa.
Il suo ragazzo, il ragazzo della Zoccola intendo, presente a tutte le dichiarazioni, e dalle mie sinapsi classificato nel seppur breve processo come voyeur pervertito che si diverte a dar via la sua Ciccina, interviene dicendo una cosa non del tutto inutile: cioè che forse non sono al corrente del modo di dire.
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Ebbene, ho scoperto che i Danesi hanno questa simpatica abitudine di dire “grazie per la volta scorsa” ogni volta che si incontrano a un party. Ed è molto carino da parte tua dirlo, quindi diciamolo. Anche perché se non lo dici è tollerabile ma insomma, sei uno che sta troppo sulle sue. Hehe, ma attenzione. Sembra facile: uno lo spara ogni volta che incontra un amico o un’amica a un party ed è fatta. Eh NO. Non è sempre vero.
Esempio. Oggi vado a un party e incontro A e B. Fra 3 giorni incontro A al supermercato e gli dico ciao (non gli dico “grazie per la volta scorsa” perché vale solo quando ti incontri a un party o qualche occasione divertente). Fra una settimana incontro A e B, al prossimo party; lo potrò dire solo a B, perché A l’ho incontrato al supermercato o al centro commerciale e ciò ha neutralizzato l’incantesimo.
Non importa se quando ho incontrato A al centro commerciale c’era fuori un dolby surround 7+1 della sony a 35 euro compreso consegna e installazione, il che rende la situazione automaticamente divertente (anche perché l’ha comprato anche A, quindi ci siamo divertiti in due). No no.
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La mia considerazione è che sono fottuto. Con la mia memoria, ricordarmi di tutti quelli che l’ultima volta ho visto al party e quelli che invece nel frattempo ho visto al centro commerciale, è un’impresa comparabile a progettare uno Shuttle Columbia.
Sono condannato: a rimanere nella mediocrità o a fare figure di merda.
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Aggiornamento: ho provato una nuova formula. Noi italiani siamo sempre fantasiosi ed innovativi, per cui l’ultima volta che siamo andati al cinema in compagnia (divertente, ma non annoverabile tra le occasioni in cui dirlo, per cui avrei dovuto resettare il counter “della volta scorsa” per alcuni e non per altri) ho fatto una cosa.
A fine serata, quando ci siamo salutati, ho abbracciato, baciato, e detto “grazie per la prossima volta”.
Erano spiazzati.
Tiè!
Risposta via email a una mia sorella che mi chiedeva a proposito del primo maggio.
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> P.S. Ma il primo maggio è primo maggio anche lì?
Si si, anche qui.
Anche se qualcuno lavora lo stesso, non è come da noi che chi lavora è un crumiro :)
L’altro ieri sera abbiamo fatto i galletti e siamo andati a letto tardino, e naturalmente alla mattina alle 7 in un cantiere vicino c’era un tipo che spostava delle lunghe assi di legno; ma invece di portarle sulla spalla come chiunque farebbe, le trascinava tenendole per un capo mentre l’altro strofinava sull’asfalto con quel suono continuo e delicato, interrotto di quando in quando da un ghiaietto che faceva cessare il suono per qualche frazione di secondo ma poi lo impreziosiva quando l’asse atterrava di nuovo sull’asfalto.
Un piacere, se stai dormendo. Se sapevo il danese abbaiavo qualcosa fuori dalla finestra :)
Loro poi hanno un’altra festa, venerdì, che era originariamente una giornata in cui i bambini stavano a casa da scuola per andare nei campi ad aiutare a raccogliere qualcosa che non ho capito, ma è una cosa con dentro tante ø e tante æ che ci ho dato su prima di sintetizzare lo spelling nel mio cervello. Poi la chiesa si è impossessata della festa e l’ha chiamata in un altro modo con tante æ e tante ø ma che suona circa nello stesso modo.
Comunque, stringi stringi, stanno a casa anche il 5 di maggio.
Ciao
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