November 2007


Avevo una Nonna fino a due giorni fa. L’ultima rimasta.Suo marito è morto che mia madre era adolescente, quindi non l’ho mai visto.

Il babbo di mio padre è morto che ero piccolo; ho un vago ricordo di lui su una poltrona che si accendeva una sigaretta col moccino di quella appena finita, che è poi la cosa che lo ha ucciso.

Sua moglie era “-=La Nonna=-“, quella con cui andavo più d’accordo. Mi ha fatto il brutto scherzo di morire nel 1980, proprio quando stavo iniziando a godermela come Nonna. Nonna, non te lo perdonerò mai!

Questa è l’ultima Nonna che mi era rimasta, e se n’è andata anche lei.

E tutt’a un tratto la tua seconda generazione scompare, così, improvvisamente e sottovoce.

Questa Nonna strana che veniva dalla grande città, da Milano, per vivere in un paesino della bassa reggiana in seno al fiume Po, a Luzzara, il paese che ha dato i natali a Cesare Zavattini, che lei e mio nonno conoscevano. Questa Signora che veniva da lontano e che i paesani hanno sempre conosciuto, rispettato ed apprezzato. Che è venuta a Luzzara per rimanere vedova giovanissima, e che non è tornata a Milano dopo ciò che è successo, altrimenti probabilmente non potresti leggere queste righe.

Questa Nonna acculturata e poetessa, che con quella grafia antica ha scritto poesie brevi e leggiadre, così evocative e universali che è difficile leggerle senza trasporto.

Questa Nonna. Per i miei sofisticati standard, basati sul rapporto che avevo con l’altra -=Nonna=-, non aveva il “physique du rôle” per essere nonna abbastanza; ma è una Nonna, e non ci sono storie: ti manca.

E allora vai a ripercorrere tutta la tua vita all’indietro per scovare il primo ricordo che hai di lei, e i momenti felici in cui lei c’era, e ti rendi conto che se ci pensi bene te ne ricordi ben di più rispetto a due giorni prima.

La ricordi con tenerezza, la “povera vecchina”, che appariva come tale ma in realtà aveva la fibra di un coguaro. Come quando, anni fa, sembrava scavezzata ma percorreva chilometri a piedi mentre i giovani e forti dopo trecento metri erano morti (*). Ricordi la povera nonnina che nei pranzi di Natale o di Pasqua, mentre vestiva quell’aspetto innocuo, divorava porzioni che avrebbero accoppato di indigestione un velociraptor. Ricordi con tenerezza questa contrapposizione tra l’aspetto e l’azione.

Ricordi cose, cose che sono anche parte della tua vita; sono cose che non tornano, ma le persone che se ne sono andate rimangono, e continuano a vivere, nel ricordo che altre persone hanno di loro. E scusa la retorica ma concedimelo, in un momento così: purtroppo non posso neanche andare al funerale e vedere le altre persone che le erano care, e mi pesa.

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Questo meccanismo del menga che ci fa pensare di essere eterni, poi, mi fa incazzare. Perché alla fine alle persone che vogliamo bene dedichiamo poco tempo, ingoiati dalla fretta e dagli impegni. Tanto sono sempre lì. Tanto ci puoi andare quando vuoi, a trovarle. Non è vero, dannazione!

Le persone anziane, poi, fanno tenerezza. Quelle che per vari motivi non si possono muovere, magari. Vai a trovarle una volta e a loro basta per tanto tempo, vivranno felici di quel ricordo per settimane. Porti loro un oggetto, una stupidata, e loro lo mostreranno, sinceramente felici, a tutte le persone che vedono. Visitarli è una cosa preziosa per loro; e a te, diciamocelo, cosa è costato?

A settembre sono stato in Italia e avevo così tante cose da fare in quella settimana che, anche se a malincuore, ho pensato di spostare la visita a Natale, quando tornando di nuovo le avrei portato gli auguri e magari qualche dolcetto danese. Bravo coglione. Adesso l’unica cosa che le posso portare sono dei fiori.

Ma non è giusto.

Rimandare, dire “..uno di questi giorni”, non trovare uno spazio da dedicare alle persone più care, sacrificando momenti preziosi sia per gli altri che per noi sull’altare della Nostra Santa Fretta o dei Nostri Beati Porci Comodi. Non è giusto. Non solo “uno di questi giorni”, ma già domani potrebbe essere tardi per farlo.

Ed invece domani ci saremo dimenticati della lezione, e trascureremo il prossimo Nonno.

Ammesso di averlo.

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(*) se ti ricorda qualcosa, non sbagli: ma giuro che non l’ho fatto apposta, mi è uscita senza pensarci.

Nota: lo pubblico solo oggi 7 dicembre, ma l’avevo scritto il giorno  12 novembre ed ho lasciato quella data, anche come data di pubblicazione.

 

Il Danese è una lingua strana. Ne ho già parlato; il ceppo è prevalentemente anglo-germanico, ma tante parole del vocabolario vengono dal latino. Ci sono parole che assomigliano molto a parole inglesi o tedesche e per niente a quelle italiane, e parole che assomigliano molto a parole italiane e per niente a quelle altre. Un minuscolo compendio:

– Inglese
Kan = Can (nel senso del verbo, non di lattina)
Fyret = Fired (licenziato)
ny = new (nuovo) in questo caso non si assomigliano nella scrittura ma nella pronuncia sono as-so-lu-ta-men-te identiche

– Italiano
Otte = Otto (8)
Flaske = Fiasco (bottiglia in generale)
Gratis = Gratis
Cirka = Circa

Da questo ragionamento verrebbe spontaneo pensare che le parole:
– O assomigliano a quelle inglesi/tedesche
– O assomigliano a quelle italiane/latine
– Oppure sono parole a sè stanti come naturalmente ogni lingua ha, come ad esempio omgivelser o hyggeligt; le quali, più che stimolare ragionamenti etimologici, a dispetto del significato assolutamente innocuo (e anche confortevole come nel caso di hyggeligt), stimolano il basso ventre, impedendo ogni ulteriore ragionamento razionale.

Intendo che si tende ad escludere che ci siano trabocchetti, come i “falsi amici” in inglese tipo “cold” che vuol dire “freddo” e non “caldo”, oppure “dent” che vuol dire “ammaccatura” e non “dente”. Non so se mi sono spiegato.
In pratica: sembra tutto chiaro!

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Andando in giro per Copenhagen ci sono, come in tutto il resto del mondo, i cartelli pubblicitari che reclamizzano i nuovi film in uscita.

Diversi film sono di produzione danese e quindi non esattamente conosciuti: se vedessi un cartellone che parla di Mission Impossible col faccione di Tommaso Crociera capirei di cosa si tratta; ma per i film danesi, anche avendo a disposizione l’immagine, il titolo e gli attori, non riesco comunque a capire il genere.

Ne vedo uno.
Gente seria nell’immagine.
Dimènticati di capire il significato del titolo.
Gli attori hanno nomi che in confronto “Olaf il Vichingo” sembra che venga dalla Valtrompia.

Dopo il titolo però c’è una scritta: –>”I Biograferne”<–.

Sembra un sottotitolo, tipo titolo: “Giulietta e Romeo” sottotitolo: “Una Storia d’Amore”, non so se mi spiego. Bello, una cosa che ti prende dentro.

Fantastico, dico, non ho capito un cazzo del resto ma ho un indizio: è un film biografico.

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Due settimane dopo vedo un altro film reclamizzato: come al solito attori e titolo ignoti, ma anche qui gente seria nell’immagine, aria drammatica, e di nuovo sotto il titolo la scritta “I Biograferne”.

Sono così certo della mia supposizione linguistica che parto con delle considerazioni e dico azzo però sti danesi, appassionati di biografie; sembrano oltretutto film introspettivi tipo Allen, Bergman; bella cosa che il cinema danese produca tante pellicole di questo tipo; indice di profondità dei registi ma anche del pubblico; e il fatto che li proiettino nei multisala indica che ci va tanta gente, bravi!

E parto per la tangente con delle considerazioni sociologiche, come al solito. D’altra parte la laurea ad honorem in sociologia dovrebbe essere in arrivo, per cui i miei sforzi sono giustificati.

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Dopo una settimana esce un altro film, altri cartelloni. Dal titolo ancora nessun indizio, ma l’immagine parla chiaro: è un film del genere idiotello, non so, tipo “vacanze di natale” (con buona pace di quelli che si fanno due ore di coda in cinema gremiti e odorosi di ascella per vederlo ogni anno).

Sotto il titolo c’è scritto di nuovo, decisamente più grosso stavolta, “I Biograferne”.

Dunque: Bergman non sembra proprio; e l’umorismo di Allen è lontano anni luce.
Le mie convinzioni linguistiche stavolta cominciano a vacillare, e pur rifiutandomi di lasciare che vacillino anche tutte quelle belle-e-ordinate considerazioni sociologiche di cui sopra, mi decido.

Mi decido a chiedere cosa vuol dire.

E scopro l’orrenda verità: vuol dire, banalmente, ottusamente, fottutamente: “Nei Cinema”.

Ma va a caghèr..

Probabilmente sei troppo giovane per ricordarti del famoso B-movie “Anche gli angeli mangiano fagioli” con Bud Spencer e Terence Hill, di quegli spaghetti western dove finivano sempre a scazzottarsi. Beh il titolo si ispira a quello.

Copenhagen, esterno giorno.

Viuzza laterale piuttosto vicina al centro città.

Cammino. Incrocio una ragazza che porta a spasso un alano da un metro e quaranta al garrese, che chiamare vitello sarebbe come dare del pigmeo a un watusso.

Guardo meglio. La ragazza, non il cane.

E’ bellissima. Di una bellezza che lascia senza fiato, voglio dire. Bionda, occhio azzurro chiaro con un taglio stupendo, un viso perfetto. E il classico, nordico, banale (per loro), nasino all’insù. Beh, grazie al cazzo, qui per trovare una col canappione devi mettere un annuncio sul giornale a massima tiratura, e poi non è detto che la trovi.

Un incanto, insomma. Un sogno.

Per finire, attaccato sotto (tramite il collo) c’è un corpo da urlo. Da tanto che è bella, non ispira neanche sesso, per intenderci: è troppo perfetta.

Un Angelo.

Ostento indifferenza ma non riesco a distogliere lo sguardo, sono come pietrificato. Mantengo a fatica il controllo della mandibola per evitare che cada di peso, slogandosi.

A un certo punto succede qualcosa: l’Angelo col vitello al guinzaglio tossisce, una bella tosse grassa da fumatore incallito. Dopo l’emissione di fastidiosi rumori preparatori, di quelli che non è raro udire nei pressi del Bar dei Vecchi (*), spara giù dal marciapiede uno sputazzo dai colori autunnali che atterra con fragore.

Continuo a camminare, asserendo a me stesso nel misero tentativo di autoconvincermi “nah, dai, era un Angelo.. impossibile.. vero è che non ho mai visto un Angelo con un vitello, ma vero è anche che non ho mai visto un Angelo senza.. però lo era, ne sono sicuro.. ma sì, dai, cosa vado a pensare, il mio problema è che guardo troppi film ambientati nei Bar dei Vecchi..”

(*) non puoi dire che non sai cos’è, perché in Italia c’è un Bar dei Vecchi in ogni paese e in ogni contrada: quel bar dalle luci squallide dove si trovano, fumano (fumavano, prima di Sirchia), giocano a carte, bestemmiano, schiamazzano, bevono un piccolino di bianco e ricominciano giorno dopo giorno, ogni volta contandosi per vedere chi manca dal giorno prima.