Mi definirei un “Meteopatico Strategico”. Mentre non me ne può fregare di meno se un giorno piove o c’è il sole, la mia sensazione riguardo alle stagioni incide sul mio umore in modo deciso.

Quando ero in italia mal sopportavo l’autunno; è una stagione che nonostante lo sforzo nello schierare colori e panorami suggestivi, in qualche modo ha sempre fallito nel suo piano segreto di piacermi. Mi ha sempre fatto tristezza il concetto di “morte della natura”; le foglie che cadono, che vanno a formare l’humus (parola carina per dire che imputridiscono in un marciume decompositorio umido e diselegante); quegli opportunisti degli uccelli che -se solo avessero un gomito- ti farebbero il gesto dell’ombrello nel migrare verso panorami con più palme; “la nebbia agli irti colli piovigginando sale”; e potrei continuare.
Per me è esattamente la sensazione opposta della primavera, stagione nella quale ogni giorno è grande festa e al mattino salti giù dal letto con l’agilità di un amante clandestino che sta per essere beccato in flagranza.

Ma bene o male l’autunno è preludio per l’inverno. E in inverno ci sono tante occasioni per sfangarsela: si va a sciare, c’è natale, un sacco di occasioni felici e, ultimo ma non meno importante, dal mio personalissimo punto di vista è una condizione da “mal comune, mezzo gaudio”. Ci siamo tutti su questa fredda barca. A parte quegli stronzetti degli uccelli.

Qui il problema non si pone, perché un giorno ti alzi e c’è il sole; poi, tempo di girarsi, e piove e tira vento in modo così insistentemente freddo che ti viene da associare spontaneamente le parole “Siberia” e “Club Med”. Ti vien voglia di precipitarti in aeroporto con l’allegra intenzione di mandare tutti affa e andare a svernare su una sdraio in Tundra.
Quello che non aiuta è che tra prima e dopo che ti sei girato non hai avuto tempo per metterti su maglioni e giubbotti. Per gente senza capillari come i danesi non c’è problema, se ne accorgono dopo un po’, ma per noi il problema c’è eccome. Aggiungi la seppur posata reticenza psicologica all’accettazione dell’evento (noooooooooooo! rivoglio l’estateeeee! voglio le mie magliette! i miei pantaloncini corti!). Risultato: Montezuma. Fisso.

Naturalmente non è che qui ci sono 3 mesi d’estate e 9 d’inverno: anche le mezze stagioni hanno la loro bella sfumatura. In primavera e autunno infatti fa solo freddo maiale mentre in inverno diventa freddo porco.

In ogni caso ci sono pro e contro nella situazione determinata da questa latitudine. Vediamoli.
Pro
– la natura non muore lentamente in un letto d’ospedale: PAM, un bell’infartino secco, le spoglie degli alberi (beh, le foglie) ci pensa il vento a portarsele a fare humus in Brasile, via il dente via il dolore;
– c’è meno tempo per il processo di ossidazione degli unici particolari in ferro della tua bicicletta; dal sole al ghiaccio in un istante: con l’arrivo del freddo la ruggine fa su il suo fagottino, bestemmia il dio delle Ossidazioni (mi veniva da scrivere “Ossiride” ma per fortuna mi sono trattenuto), e va a rifugiarsi al calduccio contro qualche bel termosifone;
– consumi molti meno abiti estivi;
Contro
– visto che sei l’unico meteopatico, “mal comune mezzo gaudio” non funziona;
– la piovosità danese media durante l’anno è poco meno del 50% (170gg/a). E si concentra in novembre. Grunt. Commenti?
– a disturbare la quiete ci sono ogni anno grosse cause governative intentate contro il Brasile con lo scopo di rimpatriare l’humus, mentre l’opinione pubblica si spacca tra “poveretti, lasciamoglielo” e “cara, che DVD guardiamo stasera”;
– sciare? what’s sciare? E soprattutto dove, visto che la “montagna” più alta è Møllehøj e si slancia alla bellezza di 170,86m/slm, e prima di misurare hanno pure aspettato che in cima passasse un grosso alce che andasse di corpo ispirato dall’altitudine, per guadagnare qualche centimetro prezioso.

Tra parentesi, c’è un’altra “montagna” di nome Yding Skovhøj che in realtà sarebbe più alta (172 metri e spiccioli) ma solo grazie ad un tumulo sepolcrale dell’età del bronzo che era stato collocato in cima da queste antiche popolazioni. Noi, nella nostra presunta onniscienza, crediamo che sti qua fossero dei buzzurri che si soffiavano il naso con due sassi, ed invece, oltre ad aver stabilito con ottima approssimazione (senza l’orologio digitale Casio con altimetro) che era uno dei punti più elevati, sono stati lungimiranti abbastanza per stabilire questo primato. Col chiaro intento che i loro pro-pro-pro nipoti del XX secolo potessero scannarsi a vicenda all’arma bianca su chi aveva il record di altitudine. Ma il record è stato cassato, considerando che un tumulo sepolcrale non è opera della natura. Senza il tumulo infatti misura 9 centimetri in meno di Møllehøj.

Poi ce n’è un’altra di nome Rytterknægten, che è in realtà il punto più alto in Danimarca: sarebbe 162 metri ma, con la scusa di onorare la visita di un Re (così nessuno poteva dire “ehi, l’avete fatto apposta”), ci hanno costruito sopra una torre di 12 metri, così per 4 metri dominano su tutta la nazione. E pensavano di poter dire: Møllehøj! Yding Skovhøj! CIKKEN CIKKEN! (la versione danese di cicca cicca).

Insolitamente, nessuno crede che quella torre sia opera della natura, ma loro continuavano a vantarsi indebitamente.

Allora dall’Istituto Geografico Danese hanno dovuto far partire una telefonata, di cui abbiamo una trascrizione. Sfortunatamente non è riportato il dialogo da parte del sindaco di Rytterknægten, in quanto dal suo ricevitore risultano solamente tintinnii di forchette sui piatti di strudel e brindisi con boccali di birra; in più si odono canti semi-indistinti, che i più esperti classificano apparentemente come varianti danesi dello “yodel”. In pratica la stessa cosa ma con in media un 37% in più di suoni gutturali.
Il Geologo danese:
– Pronto Signor Sindaco, salve. Ci spiace, dopo attenta considerazione abbiamo stabilito che nonostante gli artifizi la vostra montagna non è la più alta.
– No, guardi, è fuori discussione, non c’è geologo, scienziato o premio nobel che non vi dia torto marcio, e peloso tra l’altro.
– Sì, sì, d’accordo, la torre è fatta di legno, ed il legno è opera della natura, ma davvero non fa testo, ci dispiace.
– Sì, la ascolto.
– D’accordo, dimentichiamo la torre per un momento.
– Puntate ad insidiare record dolomitici. Bene, è ambizioso. Vorrei solo sapere come.
– Avete piantato una sequoia. Ottimo, ne riparliamo fra un paio di secoli allora. Tante cose e arrived..
– Prego!?
– Ah, a parte la sequoia avete un’arma segreta. E.. di cosa trattiamo?
– hmm..
– Sì, un giocatore di basket è indubbiamente un’opera della natura, una colossale opera della natura, lo ammetto, ma non capisco il nesso.
– Dunque, ricapitolando. Avete convocato i giocatori NBA dei “Los Angeles Lakers” e dei “Chicago Bulls” con la scusa di un torneo amichevole contro i “Rytterknægten Pistons”. Quindi? Continuo a non seguirla.
– Ah, adesso è più chiaro. I vostri animatori hanno organizzato la gara della piramide umana.
– Avete foto, filmati, telemetrie, triangolazioni da terra e dal satellite, tutto. Tuttavia purtroppo non credo che le altitudini raggiunte…
– Ah beh, compresi allenatori e riserve, allora questo cambia tutto.
– Capisco. Senta, vi faremo sapere. Ci mandi il materiale. Arrivederci.

CLIC

– (sigh)

In ogni caso, qualunque collina sia, tu scia da un dosso di neanche duecento metri e poi dimmi se non ti vengono du palle la terza volta che prendi lo skilift.
Quindi non ti resta altro da fare che tornare a casa e guardarti la differita dell’amichevole, con i “Rytterknægten Pistons” stabili a zero contro indistinte centinaia di punti da parte dei Lakers bendati, con mani e piedi legati, e subdolamente storditi dagli inni yodel della tifoseria locale.