Cronache Stradali


Sono stato in Italia per le vacanze pasquali, e per assaggiare un po’ di primavera che qui, nella propaggine meridionale del Polo Nord, arriverà. Con estrema calma.

E mi sono imbattuto come al solito nel comportamento stradale dell’italiano medio.

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Devo fare una premessa. Qui in Danimarca, quando circoli su strade ed autostrade, sei relativamente tranquillo: i sottosviluppati che eccedono i limiti di velocità o che infrangono clamorosamente le regole (creando peraltro situazioni di pericolo) ci sono anche qui, ma sono decisamente pochi; e sono pure fortunati, visto che la Pula si fa vedere poco in giro. Generalmente la passano liscia, ma una cosa è certa: non hanno l’approvazione o addirittura l’ammirazione da parte degli altri automobilisti. Ah certo che se li cagnano gli danno indietro la patente in un vasetto, così possono spargere le ceneri dove preferiscono.

Questo significa, per fare un esempio, che su un’autostrada con basso numero di corsie, se ti trovi nella condizione di essere in quella di destra e di avere un camion che viaggia più lentamente, se ti butti fuori in sorpasso nessuno di coloro che sopraggiungono si lamenta. Primo perché nessuno arriva a 190 all’ora, secondo perché nessuno pretende di avere il diritto assoluto sulla corsia sulla quale sta viaggiando. Anzi. Talvolta, vedendo la situazione, chi sopraggiunge rallenta spontaneamente per facilitarti l’uscita. E così fai anche tu quando sei nella loro condizione; perché la regola è: facilitare lo scorrimento del traffico.

Fantascienza? No, Danimarca. Vieni qui e guidaci per qualche migliaio di chilometri, poi mi sai dire.

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Italia. Esterno Giorno.

A22 Autostrada del Brennero, che mi sta riportando a casa.

Fila ordinata di camion sulla destra. Controllo che non arrivi nessuno, poi esco in sorpasso, accodandomi ai diversi altri (la fila di camion era consistente) lasciando tuttavia davanti a me la distanza di sicurezza che la prudenza mi suggerisce. Velocità media: 130 kmh.

Ed ecco che arriva da dietro il nostro protagonista, il Coglione con Patente di guida. Quello che dà il meglio per tenere alto il nome degli italiani nel campo del sottosviluppo.

Il quale Coglione, ovviamente, non apprezza la mia distanza di sicurezza, li vuole guadagnare quei micragnosi 67 metri, e si mette a venti centimetri dalla mia targa, cercando di farmi capire -tramite segnali morse con gli abbaglianti- che ha fretta, una dannata fretta, e che vuole sorpassarmi.

No way. In italiano: “non se ne parla proprio”. Per lasciarti passare dovrei rallentare, infilarmi in un buco, frenare, e sperare che vada bene. Ma neanche se tu fossi il Presidente della Repubblica in missione speciale. Ecco, magari se fossi un’ambulanza. Ma hai l’aria più da uno che dell’ambulanza potresti aver bisogno, che di uno che la guida.

La coda in corsia di sorpasso avanza lentamente, per lungo tempo, e il Coglione pare voglia mettere a prova il filamento in tungsteno delle lampadine dei suoi abbaglianti. Non è una questione di principio, lo lascerei passare volentieri, ma non ci sono le condizioni, per cui sto dove sono.

Finalmente la coda finisce e rientro in corsia normale. Il Coglione, per niente sollevato dal fatto che il suo strazio è finito e che finalmente può correre verso la Libertà dalle umane autostradali catene, strombazza pure, per farmi capire qualcosa che solo lui sa, ma che posso intuire: cioè che lui ha la macchina più grossa e quindi anche l’uccello è più grosso e che pertanto per rispetto per il suo grosso uccello dovevo gettarmi nel fosso. In pratica.

Fatto sta che il Coglione no è soddisfatto. Il Coglione DEVE farmi provare le infinite pene che io ho fatto provare a lui. E quindi si piazza davanti a me, rallentando, e cambiando corsia quando la cambiavo io, impedendomi di sorpassare o altro. Il Coglione tuttavia non sa che il motivo per cui io andavo a 130 kmh era solo per rispetto per chi veniva da dietro, e che la mia velocità di crociera stabilita alla partenza era ben più bassa. E’ chiaro che lo sta facendo apposta, non c’è nessun tipo di beneficio del dubbio in discussione. Per cui a quel punto esce la parte bastarda di me. Affinché il suo trucco funzioni mi deve stare davanti a poca distanza poiché, nella sua piccola immaginazione, se mi perde ho tempo per prendere la rincorsa e superarlo quando non mi può fermare. Ed io lentamente ma inesorabilmente rallento, costringendo anche lui a rallentare, a perdere un abisso di tempo, e a confermarmi in questo modo che non aveva nessuna fretta, bensì aveva bisogno di affermare il suo diritto ad avere la strada tutta per sè, una cosa che potenzialmente potrebbero reclamare altri 59.999.999 italiani.

Tra parentesi, se vuoi una strada tutta per te, puoi sempre andare in America su una di quelle strade in mezzo al deserto del Mohave, dove puoi correre finché vuoi senza che nessuno si azzardi ad attentare al tuo diritto di avere la strada per te. Almeno fino a quando spunta una pattuglia da dietro un cartellone pubblicitario, ed allora l’unico posto dove puoi svuotare il tuo vasetto con le ceneri è fuori dalla tua angusta cella, a Guantanamo.

Rallenta rallenta rallenta, mentre io e Tabby lo canzoniamo dicendogli di farsi una vita vera, quando siamo sotto i 100kmh il Coglione finalmente si stufa e va per la sua strada. Non farmi fare i calcoli di quanto tempo gli ho fatto perdere: sicuramente di più di quello che avrebbe guadagnato consumando i 67 metri e andando a titillare il paraurti di quello che stava davanti a me nella coda.

Seguono accadimenti stradali ordinari. Dopo il passo del Brennero niente più episodi, e questa coincidenza mi colpisce sempre molto.

Sono cose tristi, ma per il genere umano rimane la consolazione che, a rodersi il fegato sia prima che dopo, magari al Coglione è partito un embolo che sperabilmente ha lentamente raggiunto e leso qualche organo vitale, rafforzando così la teoria di Darwin sull’evoluzione della Specie.

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Con post come questo so che posso essere classificato come razzista.

Ma il fatto è che gli idioti e i sottosviluppati esistono, e meritano incondizionatamente tutto il rispetto che si deve a qualunque essere umano. Ma quei sottosviluppati che si credono di essere meglio degli altri, e per di più in funzione di questo pretendono di vanificarne i diritti, per me fanno parte della porzione da sacrificare nell’ottica di migliorare la media.

Una grande soddisfazione sarebbe che gentaglia come il Coglione, o come la Troia, leggessero il blog e si riconoscessero. Ma è chiedere troppo. Gente così non ha lo spessore; e poi credi cambierebbero? Credi direbbero “oh dannazione ha ragione, che stronzo/a sono stato, aspetta che cerco di migliorare”. Vano. Per fare autocritica serve un QI minimo.

Comunque sono a Casa, e per sei mesi di stronzi Coglioni alla guida non ne vedo.

Dalle rispettose Autostrade Danesi, lo Scarrafone passa e chiude :)

Qualche giorno fa, girando per il centro a piedi, ho avuto una strana sensazione. Sai quelle cose che non puoi descrivere ma che accendono dei campanellini nella testa. Sulle prime non ci ho badato, ma con un po’ di ritardo i campanellini hanno attirato la mia attenzione e ho realizzato. Erano suoni insistenti di clacson.

Devo aprire una piccola parentesi.

Il traffico di città, a Copenhagen, è estremamente quieto. Intanto ci sono decisamente poche automobili private, e comunque il rumore più irritante che si può sentire è una macchina che sgomma al semaforo, ma spesso trattasi di turchi con VW Passat modello 1976, ribassato, alettonato, minigonnato e cerchiinlegato, che non hanno capito che per orizzontalizzare le danesine non bisogna sgommare ma saper cucinare italiano.

Ogni tanto capita di sentire un colpo di clacson, e dico “un colpo”, intendendo una frazione di secondo, e probabilmente chi ha premuto il centro del volante non è stato un Danese, per i seguenti motivi:
1) i Danesi sono refrattari all’uso del clacson in generale. Quando chi ti precede è un impedito, attendi con pazienza e senza sonore bestemmie, con la rassegnazione di chi ne sa molto di filosofia Zen. Proprio non ci pensi: è il destino, e alla prossima svolta andrà meglio.
2) sulla strada, il rispetto del codice è degno di nota, e la volontà di agevolare il traffico travalica anche la tua fretta dannata di arrivare. In pratica, diciamocelo, manca la materia prima: non c’è nessuno a cui suonare.

Chiusa parentesi.

Ebbene, sento suoni insistenti di clacson; principalmente uno, e poi tanti altri nel coro.
Impossibile, dico fra me e me. La barbara usanza di attaccarsi al clacson ai matrimoni è una cosa che non può aver attecchito anche qui.
Cerco qualche segno nel traffico che possa spiegare.
Che ne so, qualcuno che ha parcheggiato l’auto di traverso nel centro di un collettore a tre corsie, qualcosa insomma di veramente serio.

Poi lo vedo.

Un camion, del tipo grande ma senza rimorchio, telonato con sponde; i teloni sono avvolti e lasciano scoperti i lati e il retro. Cartelli grandi come lenzuola (aspetta, SONO lenzuola) con scritto “FRI” campeggiano sui lati.
Ecce Sonatore.
E dietro, sul cassone, una masnada di giovinastri che schiamazza. Taluni addirittura con megafono.
Le sponde sono indispensabili, e capiremo presto perché.

Io invece non capisco ancora. Vedo questo camion passare, l’autista che col clacson intona un rap, i giovinastri schiamazzanti salutano auto, pedoni e ciclisti dicendo cose irriferibili (non perché sono brutte ma perché non le capisco), tutti sorridono e salutano di ritorno con trasporto.

Mi adeguo.

Al prossimo incrocio ne vedi un altro, e un altro, e quando i camion stracolmi si incontrano fra di loro come spettacolo è ancora più divertente.

Le automobili che il camion incontra suonano allegramente il clacson in risposta e poi proseguono sulla loro strada, felici di aver finalmente usato un dispositivo che è montato di serie ma che generalmente gli sfasciacarrozze, dopo una lucidatina, rivendono come “non usato” ai costruttori.

Un grosso punto interrogativo sulla mia testa rimane, tuttavia.

Arrivo a casa e chiedo a Tabby di spiegarmi cosa ho appena visto. Spiegazione.

Succede che alla fine di un corso di studi di 10 anni, prima del ginnasio, gli studenti affittano un camion, ci attaccano gli striscioni con la scritta “FRI” (free, ovvero “liberi!”) imbarcano una cassa di birra perché non si sa mai, e partono dalla scuola girando per le strade di Copenhagen.
Destinazione: le case di ognuno di loro. Dove si fermano una ventina di minuti, mangiano, bevono, imbarcano un’altra cassa di birra perché non si sa mai, e poi via a casa del prossimo.

Non avevo bisogno che Tabby mi raccontasse di quando lo ha fatto lei per capire perché, soprattutto verso sera, le sponde del camion siano quantomai utili.

I Danesi hanno un rispetto quasi assoluto per le regole; ma quando ci sono tradizioni come queste, vengono rispettate con la stessa assolutezza. Mancava poco e anche le macchine della polizia suonavano il clacson..