Serious


Siccome non ho avuto la possibilità di visitare parenti e amici per Natale, ci siamo presi qualche giorno a cavallo tra gennaio e febbraio, col duplice intento di trascorrere tempo con le persone care e farci una sciatina.

E devo dire che l’impatto, non con l’Italia ma con l’italiano medio, mi ha sconcertato ancora una volta.

Non voglio parlare di quando ero venuto a settembre, che mi hanno fregato sotto gli occhi il marsupio con la carta di credito. Acqua passata, anche grazie al fatto che dopo 4 giorni mi è arrivata a casa la carta nuova senza che neanche dovessi alzare il telefono. Gli è bastata la telefonata al numero verde danese per bloccare la carta effettuata 5 minuti dopo il fatto: lo hanno comunicato all’istituto, il quale ha erogato un’altra carta (gratis), e voilà. Anche questo è un modo per diminuire le code agli sportelli.

Si comincia in autostrada.

Dove devono correre quelli che ti sfanalano mentre a 130 kmh stai sorpassando una lunga fila di autocarri? Ragionando da danese, da tali segnalazioni io arguisco che c’è una situazione di pericolo che non avevo notato: sto perdendo i bagagli dal portellone; mi si sta staccando una ruota; ad ogni buon conto tolgo il piede dall’acceleratore, giusto per essere sicuri. Ragionando da italiani, ragazzi, volete che mi getti nel fosso per farvi passare? MA NON SE NE PARLA NEANCHE, STRONZI! Sto andando a 130 ed è mio diritto sorpassare. Non lo faccio per farti un dispetto, caro automobilista che segue, e se non ho bisogno della corsia di sorpasso ti lascio passare senza nessuna invidia per il tuo poderoso eccesso di Cavalli Vapore e performanza tachimetrica, generalmente sostitutiva di uccello piccolo. Anch’io non sono Rocco Siffredi, però non per questo mi devo lanciare a 170 anche se potrei.

E già ti girano un pochino, comunque.

Poi arrivi sui monti. Finalmente si scia, una sola stagione di astinenza mi ha fatto l’effetto di togliermi l’eroina, il metadone e le Big Babol, tutto insieme.

Naturalmente ti fermi al rifugio per una pausa meditativo-zuccherina. La coda è corta ma l’impedimento della commessa alla cassa la mantiene lenta e meditabonda.

Signora (signora?) che si intrufola e con indifferenza mi passa davanti. Matematico. Voglio divertirmi e vedere se la reazione è sempre la stessa che ricordavo.

Le faccio gentilmente notare che è passata davanti. E naturalmente: lei s’incazza. Matematico. La risposta si confonde scomposta tra i “c’ero prima io” i “non l’ho vista” e i “stia calmo che siamo in vacanza”. Sono io dalla parte del torto, perché invece di prenderlo in chiappa e stare zitto come dovrei, gliel’ho fatto notare. Patetico. Mi concede, per grazia ricevuta, di fruire del MIO posto. Senza speranza.

Se uno salta una coda in Danimarca, 99% delle volte è perché per davvero non l’ha vista; glielo fai notare, e puoi star sicuro che c’è più d’uno disposto a farlo perché è la cosa più naturale del mondo; il poveretto si profonde in scuse, si mette dietro, e siamo tutti amici.

Il giorno dopo, al rifugio dove pranziamo. Chiedo all’esercente se c’è un tavolo. Una signorina parte efficientissima e scova un tavolo in fondo a una sala; ci chiama, ci sediamo. Dopo 10 minuti arriva un tizio incazzato come una pantera completo di compagna incazzata come un coguaro che senza neanche spiegare si siede e dice vada via che questo era nostro, “ci avevamo messo i guanti”. Non riesco fisicamente a spiegare che il tavolo ci è stato assegnato dalla proprietà del ristorante: continuamente interrotto nel mio tentativo di spiegazione vengo accusato di aver spostato i guanti e di essermi impossessato del tavolo, senza possibilità di replica. Impossessarmi di un tavolo! Spostare dei guanti, novelli sostituti della pisciata del cane che marca il territorio! Una cosa che non farei mai, neanche sotto tortura. Io sono una persona rispettosissima del prossimo e dei suoi diritti, figurati se farei una cosa del genere. Niente da fare, ero io l’orco, ladro di tavoli, feccia della società. Perché è così che questi stronzi vogliono farti sentire.

Quello che non capisco degli italiani è questa presunzione di colpevolezza. Non prendono neanche in esame la possibilità di essersi sbagliati, che le cose siano andate diversamente da come si immaginano: la cosa più giusta da pensare è sempre il peggiore degli scenari possibili, quello con il maggiordomo assassino, finalmente assicurato alla giustizia.

Sono estremamente convinto e non smetto di pensare che chi sospetta “il male” è perché “il male” lo farebbe.

Una mente pulita, che non farebbe “il male”, analizza tutte le altre ipotesi prima. Forse è per questo che in Danimarca nessuno pensa male, almeno finché non è costretto a farlo.

Ed ho elencato solo alcune delle cose che sono successe; non sono casi isolati, non sono io che vado a cercare i pochi stronzi in un mondo di brava gente. Purtroppo, e lo dico con amarezza, è la brava gente che soccombe agli stronzi, sempre più copiosi.

Maleducazione, Prepotenza, Supponenza, Disonestà.

Mi dispiacerà, domani, lasciare la mia famiglia e i miei amici; ma non posso descrivere quanto sono felice di tornare a casa..

Partiti speranzosi sulle previsioni e tempistiche del viaggio, esattamente un anno e un giorno fa, tali previsioni si sono rivelate completamente sballate; il viaggio anziché durare 15-16 ore ne è durate circa 22, anche a tappe forzate.

La mattina del 3 gennaio, verso le 5, siamo arrivati finalmente a destinazione in quel di Copenhagen.

Oggi pertanto compio il mio primo anno in Danimarca.

Auguri, bebè Scarrafone!

Avevo una Nonna fino a due giorni fa. L’ultima rimasta.Suo marito è morto che mia madre era adolescente, quindi non l’ho mai visto.

Il babbo di mio padre è morto che ero piccolo; ho un vago ricordo di lui su una poltrona che si accendeva una sigaretta col moccino di quella appena finita, che è poi la cosa che lo ha ucciso.

Sua moglie era “-=La Nonna=-“, quella con cui andavo più d’accordo. Mi ha fatto il brutto scherzo di morire nel 1980, proprio quando stavo iniziando a godermela come Nonna. Nonna, non te lo perdonerò mai!

Questa è l’ultima Nonna che mi era rimasta, e se n’è andata anche lei.

E tutt’a un tratto la tua seconda generazione scompare, così, improvvisamente e sottovoce.

Questa Nonna strana che veniva dalla grande città, da Milano, per vivere in un paesino della bassa reggiana in seno al fiume Po, a Luzzara, il paese che ha dato i natali a Cesare Zavattini, che lei e mio nonno conoscevano. Questa Signora che veniva da lontano e che i paesani hanno sempre conosciuto, rispettato ed apprezzato. Che è venuta a Luzzara per rimanere vedova giovanissima, e che non è tornata a Milano dopo ciò che è successo, altrimenti probabilmente non potresti leggere queste righe.

Questa Nonna acculturata e poetessa, che con quella grafia antica ha scritto poesie brevi e leggiadre, così evocative e universali che è difficile leggerle senza trasporto.

Questa Nonna. Per i miei sofisticati standard, basati sul rapporto che avevo con l’altra -=Nonna=-, non aveva il “physique du rôle” per essere nonna abbastanza; ma è una Nonna, e non ci sono storie: ti manca.

E allora vai a ripercorrere tutta la tua vita all’indietro per scovare il primo ricordo che hai di lei, e i momenti felici in cui lei c’era, e ti rendi conto che se ci pensi bene te ne ricordi ben di più rispetto a due giorni prima.

La ricordi con tenerezza, la “povera vecchina”, che appariva come tale ma in realtà aveva la fibra di un coguaro. Come quando, anni fa, sembrava scavezzata ma percorreva chilometri a piedi mentre i giovani e forti dopo trecento metri erano morti (*). Ricordi la povera nonnina che nei pranzi di Natale o di Pasqua, mentre vestiva quell’aspetto innocuo, divorava porzioni che avrebbero accoppato di indigestione un velociraptor. Ricordi con tenerezza questa contrapposizione tra l’aspetto e l’azione.

Ricordi cose, cose che sono anche parte della tua vita; sono cose che non tornano, ma le persone che se ne sono andate rimangono, e continuano a vivere, nel ricordo che altre persone hanno di loro. E scusa la retorica ma concedimelo, in un momento così: purtroppo non posso neanche andare al funerale e vedere le altre persone che le erano care, e mi pesa.

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Questo meccanismo del menga che ci fa pensare di essere eterni, poi, mi fa incazzare. Perché alla fine alle persone che vogliamo bene dedichiamo poco tempo, ingoiati dalla fretta e dagli impegni. Tanto sono sempre lì. Tanto ci puoi andare quando vuoi, a trovarle. Non è vero, dannazione!

Le persone anziane, poi, fanno tenerezza. Quelle che per vari motivi non si possono muovere, magari. Vai a trovarle una volta e a loro basta per tanto tempo, vivranno felici di quel ricordo per settimane. Porti loro un oggetto, una stupidata, e loro lo mostreranno, sinceramente felici, a tutte le persone che vedono. Visitarli è una cosa preziosa per loro; e a te, diciamocelo, cosa è costato?

A settembre sono stato in Italia e avevo così tante cose da fare in quella settimana che, anche se a malincuore, ho pensato di spostare la visita a Natale, quando tornando di nuovo le avrei portato gli auguri e magari qualche dolcetto danese. Bravo coglione. Adesso l’unica cosa che le posso portare sono dei fiori.

Ma non è giusto.

Rimandare, dire “..uno di questi giorni”, non trovare uno spazio da dedicare alle persone più care, sacrificando momenti preziosi sia per gli altri che per noi sull’altare della Nostra Santa Fretta o dei Nostri Beati Porci Comodi. Non è giusto. Non solo “uno di questi giorni”, ma già domani potrebbe essere tardi per farlo.

Ed invece domani ci saremo dimenticati della lezione, e trascureremo il prossimo Nonno.

Ammesso di averlo.

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(*) se ti ricorda qualcosa, non sbagli: ma giuro che non l’ho fatto apposta, mi è uscita senza pensarci.

Nota: lo pubblico solo oggi 7 dicembre, ma l’avevo scritto il giorno  12 novembre ed ho lasciato quella data, anche come data di pubblicazione.

 

Polemic Warning: questo è un messaggio ad alto contenuto di polemica :)

Ieri ho assistito alla seguente triste scena.

Albergo in una piazzetta con unico accesso.

Accesso all’albergo tramite una strada, normalmente larga, ma ristretta per lavori.

Un torpedone (una corriera) deve passare per andare a prendere persone all’albergo.

Un mercedes con targa blu (che sta per corpo diplomatico e macchine importanti) parcheggiata alla cazzo di cane, ostruisce il passaggio. La guidatrice è fuori bordo vicino all’auto. L’autista del torpedone, vista la situazione, prima di avventurarsi fa manovra per provare ad entrare dall’altra direzione ma nonostante questo proprio non ce la fa.

Il torpedone entra nella strada. La guidatrice di mercedes osserva con malcelata insofferenza l’arrivo del grosso mezzo, il cui autista gentilmente fa capire che non riesce a passare. La guidatrice s’incazza come un’aquila ma seppur proferendo parole irripetibili in un inglese stentatissimo sposta la macchina.

Nota sulla guidatrice: non che l’abito debba per forza fare il monaco, ma una zoccola operativa sulle strade basse è vestita più elegante. Alta due cazzi e un barattolo, grassa come un maiale in piedi, veste con maglia attillatissima che evidenzia crudelmente ed impietosamente l’elevato numero di rotoli sull’ormai inesistente punto vita; fuseaux neri, con cuciture corazzate per evitare lo scoppio; stivale con zeppa, interamente leopardato, compresi tacco e zeppa, forse anche la suola.

Ma tutto è bene ciò che finisce bene. Finora almeno. Il torpedone raggiunge l’albergo, gli ospiti felici sciamano e prendono posto, sorridono, scattano foto, tutto bene. Il torpedone riparte, e cosa ti trova nel mezzo della strada, in corrispondenza con la strettoia? Hmm vuoi il tempo per indovinare o te lo dico io che è un mercedes con targa blu?

L’autista si spazientisce un pochino ma controllando la gestualità per non essere troppo offensivo fa capire che la situazione è la stessa di prima. Visto che qualcuno, invece, sembra non aver capito.

La Zoccola (è una del corpo diplomatico, quindi serve la Maiuscola) dice cose che in confronto quelle dette prima potrebbero essere usate in un sussidiario per le elementari, però porta le grasse chiappe in macchina e la sposta. La sposta sull’incrocio, parcheggiandola metà sul marciapiede e metà sulla ciclabile, a raso dei lavori, rendendo l’uscita per il torpedone, se possibile, ancor più impossibile.

Nota sul parcheggio della Zoccola: in danimarca c’è un incoraggiamento sconfinato nell’uso dei mezzi ecologici: treni, corriere; ed un rispetto assoluto di pedoni e ciclisti. Se parcheggi la macchina su una ciclabile o su un marciapiede, e ti beccano, la macchina la requisiscono e la mandano istantaneamente via per cubarla; poi prendono la tua patente, la scarabocchiano, ci sputano sopra, la spezzettano, incendiano i pezzi e ne profanano le ceneri calpestandole; infine iniziano ad occuparsi di te, e questa è la parte ancor meno piacevole.

L’autista a quel punto decide che la pazienza è finita. Esce dalla corriera con le vene nel collo che sembrano due tubi del 27, diretto alla macchina.
Comunica alla Zoccola alcuni concetti riguardanti logistica e trasporti, e la Zoccola si trasforma istantaneamente in Troia dicendo all’autista cose che nessuno sopporterebbe, ed impedendo a lui nel frattempo di dire quello che pensava di lei, perché lei è del corpo diplomatico e “lei non sa chi sono io” e perché la polizia lo avrebbe arrestato se avesse anche solo tentato di dirle TR, cioè appena due quinti di quello che è: una Troia.

Giusto per la cronaca: dopo diversi tentativi di convincimento della Troia da parte di numerose persone accorse a vedere questo trambusto, nel mezzo del quale qualche danese in età ha anche ipotizzato che un episodio simile non si verifica dal 1978, la Troia decide di spostare il mercedes con targa blu 5 metri più avanti, sbloccando la situazione. Ritardo complessivo del bus: circa 15 minuti.

Premesse alla conclusione: la Troia

La Troia è chiaramente una persona di qualche peso in qualche ambasciata, ma sicuramente NON è danese.
La Troia proviene dal sud europa, quasi certamente, e non solo per l’aspetto: ho riconosciuto una certa gestualità, e l’inglese inquinato che parlava era sporco di mediterraneità. E la targa blu non poteva che confermare quanto sopra.
La Troia ha detto cose autorevoli, tra cui “lei non sa chi sono io”.
La Troia infine ha sentenziato che lei era del corpo diplomatico e che poteva fare quello che voleva, e che la macchina la metteva dove le pareva e che se ne strabatteva le palle di uno stronzo torpedone e dei suoi stronzi ospiti e del suo stronzo autista che nel fine linguaggio che la contraddistingueva era classificato come “un animale” (testuale).

Premesse alla conclusione: i danesi

I danesi in generale sono persone tutto sommato miti.
I danesi in generale sono persone estremamente libere e libertarie, ma che limitano la propria libertà quando questa lede il diritto degli altri di avere la propria. Infatti i danesi sono estremamente rispettosi della libertà degli altri, in cambio chiedono solo che venga rispettata la propria.
In poche parole, i danesi sono il contrario, diametralmente opposto, della Troia.

Conclusione

Ma le ambasciate non fanno una selezione del proprio personale, quello che devono mandare all’estero a rappresentare la propria nazione?
Io sono italiano, e devo dire che mi farebbe piuttosto schifo se la Troia fosse italiana, e se quindi l’immagine già piuttosto deteriorata che abbiamo all’estero fosse ulteriormente confermata da episodi come questo.
E se non è italiana, purtroppo non mi fa tirare un sospiro di sollievo. Se è greca, o spagnola, o albanese, non importa. E’ la quintessenza della prepotenza, della prevaricazione, della stupidità, dell’ignoranza, del “che peccato, mi dispiace ma non siamo tutti uguali”.

Non importa da dove viene; importa solo che finché viene dato potere a gente di questo calibro, siamo tutti più poveri.

Messaggio a qualunque nazione sia quella che ha autorizzato la Troia ad esercitare: se volete fare le vostre porcate fatevele in casa, ma non mandate Troie a farla da padrone in un paese libero.

Grazie.

Sì sì il 2 gennaio di quest’anno sono partito. Niente fagottino in spalla o valigia con lo spago però. Direi automobile station wagon così piena che per tenere chiuse le porte un paio di giri di spago del 12 sarebbero serviti. Ho solo pregato che non si bucasse una gomma perché per tirare fuori la ruota di scorta avrei dovuto tirare fuori tutto e credo che ai passanti sarebbe sembrato più un mercatino dell’usato che una macchina in panne.

La macchina qui non serve, hanno un’organizzazione dei mezzi pubblici che fa paura, ma l’ho portata lo stesso; non ho neanche preso in considerazione l’ipotesi di andare in aereo, secondo me per il peso dei nostri materiali non decollava.

Non è stata una decisione facile venire ad abitare qui, a dire il vero. Lasciare la famiglia, gli amici.

Sono andato senza voltarmi indietro. Avevo paura che non ce l’avrei fatta altrimenti. E a Puttgarden, l’estrema punta della Germania dove prendi il traghetto, quando sei a bordo provi qualcosa di definitivo.

Vedremo come butta. C’è internet, gli SMS, ci sono tanti modi per sentirsi vicini lo stesso. Un surrogato di vicinanza, ma sempre meglio che un filo di ferro in un occhio.

Ho una nuova vita davanti, è una grande avventura, sono vicino alla persona che amo, credo che sarò felice.

ANT

Nota: la mia fidanzata è danese, si chiama Tabitha, io la chiamo Tabby e quindi se vedi un “Tabby” in giro sto parlando di lei :)

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