I sogni ed io: un match risibile. Raramente ne ricordo uno, dei pochi che ricordo ci sono spezzoni indefiniti, caroselli senza senso, senza capo né coda. Una volta su mille ne capita uno che abbia senso. Una volta su un milione ne capita uno bello chiaro, distinto, particolari definiti come se fossero veri. Mai così lungo, comunque. E siccome mi è successo qualche notte fa ed ho avuto la prontezza di fermarlo su carta, va beh, su file, lo racconto.

Tutto comincia sulle colline di Volta Mantovana, in un campo su un dolce declivio, coltivato a cavoli. Non sono un agronomo, ma paiono proprio cavoli.

Sono lì con due amici che non ricordo con precisione micrometrica ma sono maschio e femmina, ed ho il sospetto che sia una coppia di Ceresara (MN) che conosco; hanno un’azienda di informatica con la quale ho lavorato parecchio in passato, erano miei fornitori.

C’è uno strano sistema di irrigazione nel campo, sono delle condotte a sezione rettangolare, tipo 30×40 (come quelle dell’aria condizionata/riscaldamento nei magazzini delle aziende) sospese in qualche modo a 1 metro da terra. Vado a vedere da vicino, sembra perfettamente chiusa. Ma ad un certo punto arriva una ragazza con un amico più giovane, e stanno correndo *dentro* la condotta; la parte superiore, che sembrava metallo, si richiude al passaggio delle loro gambe. Quando si avvicinano ed io vedo che sono d’intralcio mi scosto e dico “sorry”. Controllo il coperchio e lo mostro agli altri, sembra un effetto speciale, sembra che sia liquido al tocco, ma a lasciarlo stare appare proprio metallico.

Con quei due amici qualche giorno dopo, per qualche ragione, andiamo a sciare a Cortina d’Ampezzo, un posto che conosco solo parzialmente e dove non andrei di mia spontanea volontà quando a due passi (alpini) di distanza c’è il Gruppo Sella, che invece è come casa mia.
Quando arrivo mi rendo conto che ho gli sci e i guanti ma ho dimenticato la tuta e gli scarponi. Allora dico agli altri andate pure mentre vado a rifornirmi: i vecchi scarponi, poverini, hanno fatto il loro servizio e sarebbe anche ora di cambiarli mentre per la tuta mi arrangio: posso comprare una giacca a vento e sciare coi jeans (tanto non cado mai :)). Magari anche un paio di ghette così la neve non mi entra negli scarponi.

Arrivo in un negozio di articoli sportivi e chi ti trovo? La ragazza che correva nella condotta, che lì fa la commessa. E’ una ragazza molto carina, caschetto biondo, occhio estremamente azzurro, proprio per niente bomba di sesso ma molto dolce. Mi riconosce immediatamente, viene verso di me e si mette a parlarmi in inglese, senza accenti.
Allora le spiego che sono italiano, che però abito a Copenhagen e che quel “sorry” mi è venuto fuori di getto, perché quando succede qualcosa di imprevisto e improvviso prorompo in un “fuck”. Per dire “cazzo!” devo pensarci (questo è vero).
Lei è eccitatissima, mi chiede tremila cose, rispondo. Poi passiamo ai miei acquisti. Lei è molto servizievole e mi fa provare gli scarponi, trovo dei Lange blu mezzi da gara, esattamente lo stesso modello che avevo prima e che mi hanno dato enormi soddisfazioni. Invece della giacca a vento mi propone una “maglietta” che è una di quelle cose supertecnologgiche da gara che sembra una T-shirt attillata ma tiene più caldo di un eskimo. C’è anche il quadrato di stoffa col numero sopra, già pronto. E’ un 6, bello grosso.
Poi la giornata diventa farraginosa. Ricordo solo che senza gli impedimenti aerodinamici di una ingombrante giacca a vento, sfreccio libero e veloce come non mai.

Il sogno continua che io e la Pigga (*) abitiamo a Copenhagen.
Stiamo tornando in Italia per visitare le famiglie e abbiamo trovato un nuovo mezzo di trasporto piuttosto efficiente. E’ una corriera che vola. Cioè, fuori città vola, anche se non a una velocità pazzesca; anche in centro città può, ma deve volare ai 50, e occhio agli autovelox.
Subito dopo la partenza (decollo? niente aeroporti, decolla verticalmente come un Harrier) il capocorriera, con spiccato accento di Sorrento, ci comunica che non possiamo volare direttamente in Italia, ci sono degli ospiti che devono imbarcarsi a Mosca e quindi dobbiamo fare una (piccola) deviazione. Esticazzi, e dirlo prima?

Comunque. Abbiamo un sacco di tempo ed ognuno sembra rilassato e per niente incazzato.
In effetti non è un brutto posto dove stare: fuori sembra una corriera, quando ci entri invece sembra più una nave da crociera, con i ponti scoperti con le sdraio, la ringhiera e i camerieri con i vassoi di cocktails con le olive e gli ombrellini Made in Thailand.

Io e la Pigga siamo in un salone all’interno, scherziamo, ci esercitiamo col russo in vista dei nuovi ospiti che imbarcheremo, con voce stentorea pronunciamo parole tipo Pravda, Doblonski, Pordna, Tovarish, Gostilna (questa non c’entra, è serbo-croato credo, ma chi se ne frega) e ridiamo come pazzi.
Poi lei si immerge in un libro ponderoso, che deve essere un libro dell’ammore perché ogni tanto sospira; io decido di andare a prendere un po’ d’aria fuori.
Esco sul ponte di tribordo e chi trovo? La Biondina. Di nuovo. Inaspettatamente (ma appare molto naturale) mi salta al collo, mi bacia e mi racconta cosa ci faceva a Copenhagen, che si è trasferita anche lei, che era piena di ammirazione per quello che avevo fatto io e che *doveva* provarci.
Mi racconta duemila cose e le ore passano, ad un certo punto vado ad avvertire la Pigga che sono fuori con questa amica, lei dice OK e continua a leggere il suo libro con occhio acquifero, torno fuori. La Biondina mi chiede della maglietta da sci, le dico meraviglie, si continua parlando di cose improbabili. Poi andiamo in giro per la nave, come il film Titanic, però non siamo innamorati, l’unica sensazione è la spensieratezza, completa ed assoluta.

In un intermezzo cerco di andare a catturare una gallina. Per accedere alla prua c’è una strana porta, due ante che si chiudono a V, con la punta verso la prua. Quando qualcuno si avvicina, le ante si schiudono verso fuori per far passare l’umano, ma finiscono per lasciar scappare le galline, che non perdono l’occasione per scorrazzare raminghe sulla nave. Cioè, sulla corriera. Sono galline con le penne color bronzo, che però vicino alla pelle sono bianche. Si narra che le penne di quelle galline valgano una fortuna, ma solo se sono strappate da una gallina in punto di morte, e ne puoi strappare solo una, come se lo spirito della gallina si trasferisse nella penna.
Ma ste stronze di galline sono vive e vegete, morente nessuna, e figurarsi se proprio io sono la persona giusta per metterle nello stato di cui sopra. Quindi le raccolgo, più o meno amorevolmente, e non senza qualche difficoltà le riporto verso la prua, dove la porta a V le chiude fuori.

Torno nel salone principale e trovo la Pigga con una sua vecchia amica (che in realtà ha la faccia di una mia vecchia collega, Francesca Qualcosa) e la Pigga le ha raccontato tutte le vicissitudini attraversate nella nostra vita insieme. L’amica, nonostante il racconto sia probabilmente durato ore, non sembra accoppata.

Viene ora di pranzo; non so come possa essere pranzo con tute quelle ore passate tra dentro, fuori, libri, galline, racconti e Biondine, ma forse siamo solo partiti molto presto al mattino. O forse è usanza che sulle corriere-navi-volanti si pranzi alle sei del pomeriggio.

Non so come, visto che la scena precedente era all’interno, ma adesso siamo tutti fuori. Raccolgo la Pigga e la Biondina, che nel frattempo si sono conosciute ed hanno proposto di pranzare entrambe con me; ci mettiamo nella coda (ressa?) davanti alle porte del salone da pranzo. E’ una ressa mai vista, mi ricorda un incubo davanti ai cancelli per il concerto di Sting a Verona nel 1988.

Questo non è un sogno: ricordo che c’era un caldo bestiale, la folla spingeva da tutte le direzioni, avevamo ancora 2 ore prima dell’apertura. Ho alzato un braccio in aria per dissipare un po’ di calore e non riuscivo più a rimetterlo dentro, la folla si era mangiata anche quel piccolo spazio.
Sono rimasto così piacevolmente colpito dall’esperienza che da allora la musica dal vivo non mi ha mai più visto.

Siamo in coda davanti alla sala da pranzo. Mal comune mezzo gaudio, mi dico. Quando aprono le porte, notiamo però che ci sono due tavoli già occupati; sono grandi tavoli rotondi con solo due persone in ognuno: in uno c’è un mio Zio con la moglie, nell’altro ci sono i miei amici, quelli di Volta e della sciata.
Sui tavoli ci sono dei piatti ovali da un metro e mezzo, stracolmi di fette di salame mantovano, quello del contadino; ai tavoli, appena notano la ressa, difendono il loro privilegio tirandosi giù mezze dozzine di fette di salame, non si sa mai che l’orda approdi e le faccia fuori. Vista dal loro punto di vista, la parola “orda” non rende nemmeno giustizia.

Io penso che le persone già sedute siano di prima classe e che quindi abbiano il diritto di sedersi prima degli altri. In realtà un cameriere mi rivela che non esiste nessuna classe; il sistema di sicurezza che protegge la sala prima di pranzo è efficientissimo, tuttavia se qualcuno è così astuto da riuscire ad eludere la sorveglianza ed insinuarsi, costoro rendono un grande servizio mostrando le falle di sicurezza che così possono venir corrette. Il premio, in cambio, è che possono restare in sala da pranzo anche se non è ancora aperta al pubblico.

Dopo pranzo tutti, e dico tutti, hanno pance rotonde e lo stuzzicadente che sbuca al lato della bocca. La Pigga è dentro con la Biondina e stanno entusiasticamente parlando di qualcosa, probabilmente di me: va bè, è un sogno, è ANTcentrico, è perdonabile.

Io esco, sempre sul ponte di tribordo (non ricordo un ponte a babordo, e d’altra parte è una corriera, quanto larga vuoi che sia?). Mi godo la brezza.
Un rombo crescente annuncia qualche evento non previsto. Penso a un iceberg. In aria? E se anche ci scontriamo cosa si fa? Si affonda? Voliamo, perdio! Vorrà dire che se proprio proprio atterriamo, andiamo in carrozzeria, una mano di vernice e poi si va.

Niente iceberg. Dal fondo del ponte, accompagnato dal rombo sinistro arriva Nerone su una biga trainata da sei cavalli apparentemente imbizzarriti. Vicino a me, un centurione romano sbuca dal nulla e si para in mezzo. E’ un uomo imponente e statuario, con addosso l’armatura leggera con tanto di elmo col pennello. L’unico particolare è che l’uomo è nero di pelle, ma è un sogno, in fondo.
L’uomo si para davanti alla biga, e con solo un cenno della mano calma i cavalli e ferma la biga. Nerone ringrazia, profondendosi in discorsi su come la Gloria di Roma sia stata Costruita su Uomini come il Centurione che lui aveva la Fortuna di, eccetera.
Poi il centurione con un altro gesto fa imbizzarrire i cavalli di nuovo, indirizzandoli stavolta verso la porta del salone.
Nerone è contrariato da questa decisione, non gli piacciono i saloni, penso.
E dev’essere vero perché non ringrazia più.

Quando la biga entra, scoppia un putiferio; apparentemente sono tutti molto incazzati con Nerone, e la Pigga più di tutti, tant’è vero che il forchettone da barbecue che gli trovano conficcato in bocca (che all’autopsia determinano essere il colpo mortale), è opera sua.

Nel sogno non arriveremo mai in Italia, la pressione interna mi ha convinto ad alzarmi ed a raggiungere il water senza por tempo in mezzo.
Così imparo a bere birra di sera.

E adesso una domanda: cosa vorrà dire?

Ciao
ANT :)

(*) La Pigga. Eh, la Pigga. La Pigga rappresenta la più importante storia dell’ammore di ANT quando era in Italia: senza nulla togliere alle altre persone che mi sono state vicine, questa non è una fidanzata bensì LA fidanzata. Una ragazza bella, dolce, innamorata ed allo stesso tempo dinamica e volitiva, anche molto complicata; la sua presenza ha creato una delle più difficili e intricate storie, una cosa che meriterebbe un romanzo ponderoso come quello che lei leggeva nel sogno; una cosa che vale la pena vivere e che se dicessero domattina ricominci, firmo.