Avevo una Nonna fino a due giorni fa. L’ultima rimasta.Suo marito è morto che mia madre era adolescente, quindi non l’ho mai visto.

Il babbo di mio padre è morto che ero piccolo; ho un vago ricordo di lui su una poltrona che si accendeva una sigaretta col moccino di quella appena finita, che è poi la cosa che lo ha ucciso.

Sua moglie era “-=La Nonna=-“, quella con cui andavo più d’accordo. Mi ha fatto il brutto scherzo di morire nel 1980, proprio quando stavo iniziando a godermela come Nonna. Nonna, non te lo perdonerò mai!

Questa è l’ultima Nonna che mi era rimasta, e se n’è andata anche lei.

E tutt’a un tratto la tua seconda generazione scompare, così, improvvisamente e sottovoce.

Questa Nonna strana che veniva dalla grande città, da Milano, per vivere in un paesino della bassa reggiana in seno al fiume Po, a Luzzara, il paese che ha dato i natali a Cesare Zavattini, che lei e mio nonno conoscevano. Questa Signora che veniva da lontano e che i paesani hanno sempre conosciuto, rispettato ed apprezzato. Che è venuta a Luzzara per rimanere vedova giovanissima, e che non è tornata a Milano dopo ciò che è successo, altrimenti probabilmente non potresti leggere queste righe.

Questa Nonna acculturata e poetessa, che con quella grafia antica ha scritto poesie brevi e leggiadre, così evocative e universali che è difficile leggerle senza trasporto.

Questa Nonna. Per i miei sofisticati standard, basati sul rapporto che avevo con l’altra -=Nonna=-, non aveva il “physique du rôle” per essere nonna abbastanza; ma è una Nonna, e non ci sono storie: ti manca.

E allora vai a ripercorrere tutta la tua vita all’indietro per scovare il primo ricordo che hai di lei, e i momenti felici in cui lei c’era, e ti rendi conto che se ci pensi bene te ne ricordi ben di più rispetto a due giorni prima.

La ricordi con tenerezza, la “povera vecchina”, che appariva come tale ma in realtà aveva la fibra di un coguaro. Come quando, anni fa, sembrava scavezzata ma percorreva chilometri a piedi mentre i giovani e forti dopo trecento metri erano morti (*). Ricordi la povera nonnina che nei pranzi di Natale o di Pasqua, mentre vestiva quell’aspetto innocuo, divorava porzioni che avrebbero accoppato di indigestione un velociraptor. Ricordi con tenerezza questa contrapposizione tra l’aspetto e l’azione.

Ricordi cose, cose che sono anche parte della tua vita; sono cose che non tornano, ma le persone che se ne sono andate rimangono, e continuano a vivere, nel ricordo che altre persone hanno di loro. E scusa la retorica ma concedimelo, in un momento così: purtroppo non posso neanche andare al funerale e vedere le altre persone che le erano care, e mi pesa.

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Questo meccanismo del menga che ci fa pensare di essere eterni, poi, mi fa incazzare. Perché alla fine alle persone che vogliamo bene dedichiamo poco tempo, ingoiati dalla fretta e dagli impegni. Tanto sono sempre lì. Tanto ci puoi andare quando vuoi, a trovarle. Non è vero, dannazione!

Le persone anziane, poi, fanno tenerezza. Quelle che per vari motivi non si possono muovere, magari. Vai a trovarle una volta e a loro basta per tanto tempo, vivranno felici di quel ricordo per settimane. Porti loro un oggetto, una stupidata, e loro lo mostreranno, sinceramente felici, a tutte le persone che vedono. Visitarli è una cosa preziosa per loro; e a te, diciamocelo, cosa è costato?

A settembre sono stato in Italia e avevo così tante cose da fare in quella settimana che, anche se a malincuore, ho pensato di spostare la visita a Natale, quando tornando di nuovo le avrei portato gli auguri e magari qualche dolcetto danese. Bravo coglione. Adesso l’unica cosa che le posso portare sono dei fiori.

Ma non è giusto.

Rimandare, dire “..uno di questi giorni”, non trovare uno spazio da dedicare alle persone più care, sacrificando momenti preziosi sia per gli altri che per noi sull’altare della Nostra Santa Fretta o dei Nostri Beati Porci Comodi. Non è giusto. Non solo “uno di questi giorni”, ma già domani potrebbe essere tardi per farlo.

Ed invece domani ci saremo dimenticati della lezione, e trascureremo il prossimo Nonno.

Ammesso di averlo.

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(*) se ti ricorda qualcosa, non sbagli: ma giuro che non l’ho fatto apposta, mi è uscita senza pensarci.

Nota: lo pubblico solo oggi 7 dicembre, ma l’avevo scritto il giorno  12 novembre ed ho lasciato quella data, anche come data di pubblicazione.