Tue 1 Mar 2011
‘Il Ponte’, articolo di Marzo 2011
Non è che questo abbia molto a che fare con i danesi, se non che è senz’altro una delle innumerevoli cose difficili da spiegare. Ma oggi mi girava così, per cui faccio la faccia faceta e sparo, appunto, qualche completa facezia.
In italiano abbiamo tante filastrocche ed alcune tiritere o scioglilingua, come panche che determinano la sorte di povere ed indifese capre, o la poco credibile storia di trentatre trotterellanti trentini. O anche la storia del cane pazzo che invariabilmente, nel trasporto e la fretta della dizione, si tramuta in anagrammi che qui non si possono dire. Volevo invece soffermarmi sulla incredibile storia dell’arcivescovo di Costantinopoli. A questo proposito vorrei dire che gli arcivescovi di cui si parla hanno la minuscola proprio perché non vorrei correlarli alle più note e benemerite figure della gerarchia ecclesiastica. E’ solo una filastrocca e vorrei che rimanesse tale, senza riferimenti.
Comunque, a beneficio di chi non la sapesse, ne riportiamo una versione: “Se l’arcivescovo di Costantinopoli si disarcivescovicostantinopolizasse, vi disarcivescovicostantinopolizzereste voi?”.
E subito viene un dubbio: ma che domanda del cavolo è?
Primo. Se uno è un arcivescovo, non credo che abbia ‘sta gran voglia di disarcivescovizzarsi. Intanto, di arcivescovi non ce ne sono tantissimi al mondo, ovvero come personaggio sei un tantino importante; in più sei a due passi dal diventare il Big Boss, per cui credo sia una carica che uno farebbe di tutto per tenersela stretta. Come dire: che domanda, ma disarcivescovicostantinopolizzatevi voi!
Secondo. Ci viene chiesto (plurale) se vogliamo disarcivescovicostantinopolizzarci, nel caso improbabile in cui l’arcivescovo di Costantinopoli faccia lo stesso. Ciò involontariamente suggerisce che in passato c’era stato un tempo felice in cui nessun arcivescovo avrebbe neanche lontanamente pensato alla disarcivescovicostantinopolizzazione, ma insinua anche che a Costantinopoli c’era un totale, come minimo, di DUE arcivescovi: quello originale, me, ed eventualmente pure tutti gli altri ai quali è stata rivolta la domanda, nella quale il “voi” non suona esattamente come una forma di cortesia. Per quanto sia grande quella città -a mio modestissimo parere- due calibri di quel tipo non li porta. E figurarsi poi se sono di più. Credo che una attenta analisi avrebbe rivelato che quel famoso tempo non era poi così felice: niente conclavi di arcivescovi concordanti strategie ecumeniche in letizia mano nella mano, bensì lotte intestine, personaggi che passavano tutto il loro tempo a cercare di farsi le scarpe -o le babbucce- a vicenda, trascurando la Missione -che è particolarmente importante essendo Costantinopoli, passami i termini da basso medioevo, la porta sulla soglia della terra dei mori.
Io ci terrei a quella Missione, e siccome un po’ bastardello lo sono, se a me nella veste di co/arcivescovo di Costantinopoli avessero rivolto quella domanda avrei risposto sì, assolutamente, risolutamente sì. Non solo: avrei pure organizzato assemblee, seminari ed eventi di sensibilizzazione per tutta la popolazione di arcivescovi di Costantinopoli, portando chiari ed inconfutabili motivi sulla giustezza di una disarcivescovicostantinopolizzazione. E, una volta che tutti si fossero disarcivescovicostantinopolizzati, avrei ignominiosamente ritrattato la mia accettazione adducendo impedimenti di varia natura, e di fatto rimanendo l’unico, indiscutibile, Chiarissimo arcivescovo di Costantinopoli. Tiè, fresconi! Fatevi le babbucce tra di voi adesso, e lasciatemi lavorare.
Terzo. Costantinopoli non si chiama più così, il nome odierno è Istanbul. Quindi la sentenza corretta sarebbe “se l’arcivescovo di Costantinopoli si FOSSE disarcivescovicostantinopolizzATO, ..” eccetera. Oppure la più attuale “se l’arcivescovo di Istanbul si disarcivescovistanbulizzasse”. Allo stesso modo, andando indietro nella storia, l’arcivescovo avrebbe dovuto eventualmente disarcivescovibisanzizzarsi; tuttavia -sono ignorante ma azzardo- chi portò la cristianità in quei luoghi dovrebbe essere stato Costantino. Quando sentiva la parola “Bisanzio”, Costantino si affrettava a cercare le sue pastiglie per la pressione e lo testimonia il fatto che è entrato a gamba tesa sul territorio; tra l’altro, se all’epoca ci fossero state ruspe, escavatori ed altri mezzi meccanici di provata insensibilità a culture millenarie, non ne avrebbe risparmiato l’uso. Questo ci dice che l’eventuale primo arcivescovo del luogo che avesse voluto andare incontro ad un disarcivescovizzamento non avrebbe potuto ambientarlo a Bisanzio, neanche volendo.
Quarto. Bisogna vedere a chi si fa la domanda. Io non ho mai fatto niente di illegale o immorale ma uno stinco di santo non lo sono mai stato, e basandosi sull’arruffata che si son dati con la storia del Mons. Milingo, credo che -indipendentemente dalla mia volontà- non avrebbero esitato e mi avrebbero già disarcivescoviqualunquepostizzato loro. E questo sarebbe successo anche se fossi stato l’unico ad accettare di partire volontario per una missione in prima linea in terre ostili; ad esempio, facciamo pure l’ipotesi di una terra molto poco amichevole: mi avrebbero disarcivescovigomorrizzato; e poi non parlo di quello che mi sarebbe successo se fossi stato in prima linea a Sodoma perché suona molto, ma molto male.
Concludendo, concludo che c’è poco da concludere, essendo questo articolo la fiera del nonsense. E non è finita: magari la prossima volta mi scappa di accanirmi sui trentatre trentini; è sempre nonsense, ma almeno risparmieremo un sacco di trattini per andare a capo.
One Response to “Disarcivescovizzazioni”
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October 25th, 2011 at 4:00
In effetti la seconda parte dice: “…, vi arcivescovicostantinopolizzereste voi?”. Manca il dis… il che da (poco) più senso alla frase. Tipo: “se il posto diventa vacante, ti interessa?” e direi che, dato lo stipendio, mi andrebbe anche bene. Tanto più che dicono tutti che come prete sarei anche riuscito bene.